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di Stefano Rissetto

Ventinove anni fa, se ne andò l'uomo che aveva aggiunto un quinto colore, il verde, sulla maglia della Sampdoria. Domani sera, all'imbrunire, gli Ultras Tito Cucchiaroni che egli aveva nel cuore lo andranno a salutare, chiamando a raccolta tutti i sampdoriani. Il 14 ottobre 1993 Paolo Mantovani aveva appena 63 anni e poche settimane prima, portando in blucerchiato Ruud Gullit e David Platt insieme con Alberigo Evani, aveva posto le basi di un secondo scudetto, che sarebbe stato soltanto sfiorato.

Che cosa resta della sua Sampdoria? Il ricordo di una squadra bella e vincente, più bella che vincente rispetto alle potenzialità; ma sono successi. Prima di lui, la bacheca della sede al 33 di via XX Settembre era quasi vuota, solo Tornei di Viareggio. Mantovani la arricchì di una Coppa delle Coppe, un Campionato italiano, quattro edizioni della Coppa Italia e una Supercoppa italiana. La sua squadra sfiorò la Coppa dei Campioni il 20 maggio di trent'anni fa, a Wembley dove nel luglio 2021 i suoi "gemelli", Mancini e Vialli, alla guida della Nazionale hanno conquistato l'Europeo per nazioni. Una rivincita personale nel nome di un gruppo che ancora si ritrova, con i capelli bianchi, nel ricordo della "bella stagione".

Mantovani era nato nel 1930 a Roma, da famiglia di Cremona: il padre Siro era direttore dell'Eiar, la radio di Stato. Cremona avrà un ruolo importante nella sua storia doriana, come teatro di una delle due partite più belle di sempre, la finale di Coppa del 28 giugno 1989 accanto al trionfo di Sofia del 1° aprile 1992 in Coppa Campioni, e come provenienza di Gianluca "Stradivialli" e Attilio Lombardo. Venuto a Genova per imparare il mestiere di mediatore finanziario nella società di navigazione Cameli, si mise presto in proprio. Nei primi anni Settanta, grazie alla crisi di Suez e alla sua intraprendenza, in società con gli amici Lorenzo Noli e Mario Contini, accumulò una fortuna sulle cui dimensioni molto si sarebbe favoleggiato. Di certo il suo patrimonio fu bastevole per consentirgli, grazie a collaboratori imprescindibili come il segretario generale Mario Rebuffa, grande conoscitore di tutti gli alti mandarini del calcio italiano, e il direttore sportivo Claudio Nassi tra i più acuti scopritori di talenti di sempre, di allestire una squadra impareggiabile nella componente italiana, l'unica forse dove gli stranieri non fossero i più bravi. A convincerlo a prendere alfine la Sampdoria, a meno di cinquant'anni e con l'aria già patriarcale, erano stati il "medico dei poveri" Gloriano Mugnaini, don Berto Ferrari e quei ragazzacci dello Squalo/Graffiti di via Casaregis.

La storia dei successi sportivi di quella Sampdoria è fin troppo nota. A ventinove anni da quel 14 ottobre 1993, i tifosi blucerchiati fra i 30 e il 35 anni non possono avere memoria diretta della stagione di Mantovani: se la sono fatta raccontare dai genitori e dai nonni. Forse anche per questo motivo la realtà trascolora nell'epica, gli eroi son tutti giovani e belli si sa. Chi ha vissuto davvero - col naso schiacciato alla vetrina della pasticceria e poi finalmente dentro, dopo tanto tempo passato a guardare per premio i figli dei ricchi che mangiavano il gelato - quegli anni corti come giorni ormai ha i capelli grigi o non c'è più. Sotto un giovane ulivo e sotto una pietra con soltanto il cognome, sul declivio che guarda al campo di Bogliasco, Mantovani non è più solo da tempo. Lo ha raggiunto il suo Filippo e insieme guardano il tramonto dalla collina. Da qualche posto lontano, la sua figlia tornerà.