Li abbiamo visti in diretta, noi di Primocanale, in quella tragica notte, gli sguardi attoniti e coperti di sangue, quella carne da macello trasportata alla bell'e meglio sulle barelle, quei volti lividi e tumefatti uscire dalla Diaz. Sono passati quasi undici anni e rivederli nella finzione non fa meno male.
E' un pugno nello stomaco il film di Daniele Vicari che racconta quanto accadde non solo nella scuola di via Cesare Battisti ma anche, subito dopo, nella caserma di Bolzaneto. Macelleria messicana, l'aveva definita qualcuno, insomma roba da altre nazioni, e la prima cosa che colpisce è proprio il fatto che ciò che vediamo sullo schermo e che prima d'ora al cinema avevamo visto soltanto in pellicole come 'Missing' o 'La notte delle matite spezzate', tanto per citarne un paio, non sono accadute nell'Argentina o nel Cile soffocati da una dittatura ma a pochi passi da casa nostra, in un paese compiutamente democratico che per alcune ore è andato in cortocircuito.
'Diaz' si colloca all'interno del cinema di denuncia civile dei Rosi, dei Lizzani e dei Costa Gavras, la denuncia di una mattanza senza senso che Vicari racconta andando avanti e indietro nel tempo fra la tragedia della cronaca e i momenti delle decisioni, tra le vittime e i carnefici, utilizzando come espediente narrativo – sulla falsariga di quanto fa Don De Lillo con una pallina di baseball che nel suo 'Underworld' rappresentava un filo rosso per un affresco di quattro decenni di storia americana - una bottiglia lanciata da un manifestante. Un film corale, raccontato da svariati punti di vista, immerso in una fotografia spesso fredda e livida, dove più che le storie individuali contano i fatti, con una domanda di fondo che pesa come un macigno: dopo quello che è accaduto possiamo avere ancora fiducia nelle istituzioni?
Certo, alcuni approcci sono superficiali, certo Genova rimane soltanto uno sfondo, certo manca il livello politico cosicché tutto resta sulle spalle della polizia che ovviamente ha le sue colpe, pure pesanti, ma che in questa vicenda non sono le uniche e tuttavia ci sono immagini che urlano più di mille parole. Come il finale nel quale i giovani arrestati che escono dalla casa circondariale di Voghera per essere trasferiti sembrano quasi zombi di un film di Romero con una ragazza che intravede fuori dal carcere la madre e le sorride prima di coprirsi con una mano per pudore le labbra martoriate dalla tortura. Un film necessario perché quella che taluni considerano una notte da dimenticare è in realtà da notte da ricordare con forza, senza se e senza ma. Per ritornare ad essere un paese civile dove certe cose non dovrebbero mai accadere.
E ci piace pensare che non sia solo un caso che a poche settimane l'uno dall'altro, 'Diaz' sarà nelle sale dal 13 aprile, 'Romanzo di una strage' di Marco Tullio Giordana è appena uscito , si possano vedere due film che affrontano l'anima nera dello Stato. Perché al di là di quella che potrà essere la conclusione giudiziaria, non esiste prescrizione né per la memoria, né per la vergogna né per un'auspicabile assunzione di responsabilità che finora è sempre mancata.
Cultura e Spettacoli
Noi e il film sulla Diaz
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