
Lo stabilisce la Corte di Cassazione, nella sentenza che contiene le motivazioni di conferma della condanna a 16 anni di reclusione per i due. Nel verdetto relativo all’udienza dello scorso 20 novembre, i giudici hanno infatti scritto che il bambino era stato portato nell’ospedale per le percosse ricevute almeno altre due volte. E la madre aveva preteso poi le dimissioni del figlio contro la volontà dei sanitari, “chiaramente per impedire che potesse essere chiarita la genesi di quei lividi”.
Secondo la sentenza, il piccolo veniva sempre preso a botte perché il “patrigno” e la mamma lo ritenevano un “intralcio” alla loro “vita notturna”. La Suprema Corte ha confermato la condanna aggravata emessa in appello a 16 anni per la coppia che, invece, in primo grado, aveva ricevuto una pena più mite, pari a 11 anni di carcere, in quanto il delitto deve considerarsi frutto “di una pericolosa miscela di egoismo e irresponsabilità”.
IL COMMENTO
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