Nonostante l’Italia in questo campo abbia una grandissima tradizione, se fosse vissuta in paesi dove il teatro è veramente qualcosa di importante e fondamentale, tipo la Germania, la Francia o l’Inghilterra, Mariangela Melato avrebbe avuto la fama e l’importanza di una Jutta Lampe, di una Jeanne Moreau o di una Vanessa Redgrave, attrici ancora vive ma già entrate da tempo nel mito. A ciò si aggiungeva un carattere schivo e poco incline ai protagonismi – rarissimo vederla in un talk show, centellinate le interviste sui ‘media’. Eppure, Mariangela resta la più grande interprete italiana degli ultimi quarant’anni, davvero una delle poche a suo agio sia nel drammatico che nel comico. Tanto che, se pure protagonista di alcuni dei ruoli più tragici della storia del teatro, basti pensare a Fedra o Medea, dopo l’’Orlando furioso’ itinerante di Ronconi del ’68, spettacolo che ha fatto epoca, il successo arrivò tre anni dopo con una commedia musicale, ‘Alleluja brava gente’, dove teneva testa a due mostri sacri come Renato Rascel e Gigi Proietti. Da allora non si è più fermata ed è impossibile ricordare tutti i suoi successi e le grandi prove d’attrice. Però, al cinema, è doveroso sottolineare almeno la collaborazione con Lina Wertmuller e Giancarlo Giannini che le valse due dei cinque Nastri d’argento vinti cui vanno aggiunti altrettanti David di Donatello. Ed è impietoso il paragone con Madonna nel remake di ‘Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare di agosto’.
A teatro, noi genovesi abbiamo avuto la fortuna di averla come primadonna dello Stabile negli ultimi dieci anni: una grande intuizione di Ivo Chiesa confermata da Carlo Repetti. Una collaborazione che si è avvalsa anche della presenza di Luca Ronconi che ha aperto, e purtroppo anche chiuso, il suo lavoro all’ombra della lanterna, iscritto tra ‘L’affare Makropoulos’ e ‘Nora alla prova’, l'ultimo spettacolo. Ma nel mezzo ci sono stati, cito a caso, anche ‘Fedra’ di Racine’, ‘Chi ha paura di Virginia Woolf’ di Edward Albee, ‘Quel che sapeva Maisie’ di Henry James, ‘Un tram che si chiama desiderio’ di Tennesse Williams, persino ‘La centaura’ di Andreini e soprattutto ‘Madre Courage’ di Brecht dove – al contrario di Madonna nel film della Wertmuller – teneva testa con caparbietà e immenso talento al fantasma di Lina Volonghi lasciando sul filo dell’equilibrio un personaggio né buono né cattivo, duro e fragile, generoso e meschino, egoista e sensibile, contraddittorio come la vita stessa.
Più volte, nelle interviste che mi ha concesso nel corso di questi dieci anni, Mariangela mi aveva confidato il desiderio nascosto di voler comprare un appartamento a Genova, lei milanese purosangue, per mettere radici non solo teatrali nella nostra città. Un desiderio che non si è mai potuto realizzare, per un motivo o per un altro. Ed è un rimpianto: forse per lei, certamente per tutti noi.
Cultura e Spettacoli
Addio Mariangela, esile e grande Signora del teatro
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