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E’ battaglia politica in Senato sul disegno di legge presentato dal ministro Graziano Delrio per il riordino delle autonomie locali, che in particolare l’abolizione delle Province, ma non tutte, e la nascita delle città metropolitane.


Il provvedimento è all’esame della Commissione Affari Costituzionali di Palazzo Madama e il suo approdo in Aula – la Camera lo ha già approvato – potrebbe rivelarsi una mina innescata sul cammino del governo. Non è detto, infatti, che trovi i numeri necessari.


Fra le voci critiche oggi si alza quella del senatore Maurizio Rossi, indipendente eletto nelle liste di Scelta Civica, che come leader del nuovo movimento Liguria Civica dice chiaro e tondo: "Il ddl Delrio va ritirato in quanto non risponde alle reali esigenze della riforma degli enti territoriali”.  L’intervento di Rossi è motivato dal fatto che Genova, secondo la nuova geografia, dovrebbe diventare una città metropolitana, ma è anche dettato da una logica di più ampio respiro nazionale. Secondo il parlamentare ligure, il ddl Delrio nasce da “intenzioni più che condivisibili, ma già alla Camera è stato oggetto di un assalto indecente che ha fatto lievitare da 6 a 20 le città metropolitane, in linea con il malcostume che ha riguardato il caso delle autorità portuali, che tutti vogliono, con l'unico esito di aumentare solo i costi complessivi del sistema portuale italiano. Per quanto riguarda invece le Province temo che si rischi di fare un errore storico. Certo si possono accorpare, utilizzando la soglia dei 500.000 abitanti, ma le loro funzioni non è chiaro come verrebbero ripartite, con il rischio di determinare gravi problemi di competenze, che andrebbero sicuramente a danno dei cittadini. Il personale delle Province se confluisse nelle Regioni costerebbe il 15% in più e non è comprensibile come potrebbe essere impiegato nelle città metropolitane”. A queste considerazioni di ordine più tecnico, Rossi associa poi una valutazione di tipo politico: “Il dato politico che rende di fatto superato il ddl è costituito dal positivo incontro tra i partiti maggiori, che condividono la riforma del titolo V. In realtà ritengo che occorra agire sulle Regioni, vere fucine dello spreco, diminuendole e ridisegnandole con bacini non inferiori a 5 milioni di abitanti, eliminando con adeguati criteri i possibili conflitti con lo Stato, favorendo una riforma che dovrebbe investire in toto gli enti territoriali e badando esclusivamente alla realizzazione di una sensibile riduzione dei costi, ad un aumento dell'efficienza ed un miglioramento dei servizi resi ai cittadini".


Rossi si muove in piena sintonia con la Corte dei Conti, che per ben due volte, a distanza di pochi mesi, si è pronunciata contro il Ddl Delrio. Secondo i magistrati contabili, infatti, il provvedimento “sembra proprio non avere i crismi della promessa spending review” con la significativa aggiunta che la legge, anzi, non solo non consentirebbe un reale risparmio, ma finirebbe addirittura per aumentare i costi.


In più, e non secondariamente, ci sono forti dubbi anche sulla costituzionalità del Ddl Delrio. A sostenerli sono molti autorevoli studiosi e fra di loro anche il professor Pietro Ciarlo, uno dei 35 “saggi” nominati dal premier Enrico Letta per riformare la Costituzione: “Siamo di fronte a un pasticcio incomprensibile: così si rischia di ridurre tutto a pura propaganda”. Ciarlo, docente ordinario di Diritto costituzionale all’Università di Cagliari, ha già espresso la sua posizione proprio alla Commissione Affari costituzionali della Camera e la sua relazione è sul tavolo del governo.


Siamo dunque di fronte a una battaglia che nei prossimi giorni promette ulteriori evoluzioni ed è davvero tutto da vedere se il provvedimento andrà in porto entro i tempi necessari affinché venga rispettata la scadenza del 30 settembre 2014, quando le città metropolitane – Genova compresa, quindi – dovrebbero succedere alle attuali Province. Ma c’è di più, a dimostrazione della confusione che rischia di prodursi: se fra il 1 luglio ed il 30 settembre 2014, un terzo dei comuni confinanti, compreso nel territorio della città metropolitana, esprimesse la volontà di non aderire e di continuare a far parte della Provincia omonima, la stessa continuerebbe ad esercitare le proprie funzioni nel territorio dei comuni che hanno manifestato tale volontà. Come a dire che si lascia la porta aperta alla possibilità di creare nuovi centri di costo. Senza tralasciare i costi della ripartizione definitiva del patrimonio e delle risorse tra i due enti.