Liberi professionisti, medici di varie Asl, imprenditori, dipendenti pubblici, commercianti, esponenti di altri partiti. Prim’ancora del manifesto programmatico, dell’evento organizzato l’altro pomeriggio da Liguria Civica all’hotel Bristol ciò che colpisce è l’eterogeneità di coloro che (pochissimi da Spezia, molti genovesi e poi savonesi e imperiesi) sono spuntati ad ascoltare che cosa avesse da proporre il movimento fondato dal senatore Maurizio Rossi.
Se mai ce ne fosse bisogno, questa è l’ennesima, plastica dimostrazione che la cosiddetta gente ha ancora voglia di politica. Anche se “schifa” quella portata avanti dai partiti tradizionali e per una ragione molto semplice: la sgradevole constatazione che dal centrodestra al centrosinistra la politica venga intesa come luogo nel quale coltivare interessi personali o di gruppo, dimenticando quelli più estesi della comunità.
Compiendo un empirico sondaggio, mi sono imbattuto in alcune persone che candidamente hanno ammesso: “Da un po’ non voto, ma vorrei tornare a farlo. E allora giro come una madonna pellegrina per convegni a vedere se qualcuno mi dà una buona ragione per riprendermi quel diritto”. E del programma di Liguria Civica sapete che cosa ha colpito di più questi liguri? Due cose: la proposta di una legge elettorale regionale con sbarramenti che non garantiscono affatto la presenza del movimento, qualora si presentasse, nella futura assemblea regionale e la richiesta di dimezzare il compenso dei consiglieri, in più togliendo all’assemblea la prerogativa (insensata) di avere un bilancio autonomo (con conseguente incremento della spesa), all’insegna di una trasparenza che dovrebbe pervadere ogni atto dell’ente. Come oggi non avviene.
La voglia di “buona politica”, che rispolveri nel concreto l’antico “spirito di servizio”, è una costante di ciò che l’elettorato va invocando con maggior forza ed è anche ciò che alimenta l’astensionismo, visto che finora le risposte sono giudicate inadeguate o assenti. In questo cambio di passo, soggetti nuovi come Liguria Civica (o come aggregazioni popolari che si coagulano su singoli punti, penso alla Fondazione Primavera di Prà, che si occupa dell’impatto portuale sul quartiere, o al comitato dei cittadini contro il cantiere eterno di via Montezovetto, per rimanere a Genova) assumono un ruolo che può diventare determinante nel mutare pelle anche ai partiti tradizionali. Sono portatori, cioè, di istanze che attraversano la società civile al di là del suo schierarsi elettoralmente.
L’ultimo grande esempio lo ha fornito il Movimento 5 Stelle, muovendosi soprattutto sul terreno contestatario, ma il paragone forse più idoneo si può fare con il Partito radicale e con quello dei Verdi. Agendo in un sistema molto più bloccato di quello in cui sono comparsi i 5Stelle, né l’uno né l’altro si sono tradotti in fenomeni di grande consenso elettorale, ma quel consenso lo hanno ricevuto nella pancia del Paese, imponendo svolte epocali come la legge sul divorzio, quella sull’aborto e tutti i provvedimenti che hanno fatto crescere in Italia la cultura della tutela ambientale e dell’ecosostenibilità.
A questo sentire diffuso, si sono dovuti piegare moloch come la Dc e alleanze che parevano immortali come il pentapartito (Dc, Psi, Psdi, Pri e Pli), a dimostrazione che portare avanti tesi innovative non è affatto un esercizio velleitario. Né bisognoso di strabilianti risultati alle urne. I problemi sono solo due: intercettare il vero pensiero delle persone e avere credibilità. Conseguire il primo obiettivo è persino facile: basta non chiudersi in una torre d’avorio, ma girare per strada o salire su treni e autobus per sentire che cosa dicono i cittadini, quali sono le loro difficoltà, le loro speranze, le loro aspettative, i loro sogni. In poche parole: basta saper ascoltare. La credibilità, invece, è dote più complessa da conseguire. Per rimanere agli esempi citati, se a Genova Prà la Fondazione Primavera la acquisisce passando dalla fase del “no e basta” a quella della proposta che obbliga le “autorità competenti” a rivedere i progetti in chiave di maggiore vivibilità, Liguria Civica la trova sul campo quando concretamente dimostra di non perseguire la propria sopravvivenza in termini di posti e quando si dichiara pronta a mettersi a nudo davanti ai cittadini in nome della trasparenza (ma pretende la stessa cosa dai partiti, vedasi alle voci utilizzo del denaro pubblico e società fiduciarie “coperte” nell’operazione Erzelli).
Il paradosso di queste vicende è che Liguria Civica, come gli altri movimenti assimilabili, nel momento in cui inchioda i partiti tradizionali alle loro responsabilità offre ad essi anche una chance: autoriformarsi, emendandosi dai tanti peccati che hanno portato il Paese, e nello specifico la Liguria, al disastro attuale. Certo, Forza Italia e soprattutto il Pd hanno il peso di coniugare il cambio di passo con l’esigenza di non disperdere, e anzi aumentare, il consenso, problema che il movimento di Maurizio Rossi non ha, o al momento non si pone. Non sta scritto da nessuna parte, però, che le due cose siano inconciliabili. In fondo, lì a dimostrarlo è proprio Matteo Renzi, al quale è bastato ispirare fiducia alla gente, declinando un concetto del “fare” in aperta discontinuità, anche anagrafica, da chi l’ha preceduto per ottenere una sorta di cambiale in bianco. Che adesso è chiamato a onorare per non essere spazzato via dalla delusione.
In Liguria, però, né lo stesso Pd né i suoi principali esponenti sono nella condizione del loro segretario nazionale: mentre il premier non deve misurarsi con i risultati conseguiti in un passato che non ha alla guida del governo, alle latitudini liguri, il partito, il governatore Burlando, l’assessore Paita (già candidatasi alle primarie per conquistare la principale poltrona di Piazza De Ferrari) e chiunque provenga dall’attuale esecutivo regionale (o dalla maggioranza che lo sostiene) è costretto prima di tutto a quell’esercizio. Complicato da un’assemblea zeppa di consiglieri indagati per lo scandalo delle così dette “spese pazze”, uno dei punti più bassi nei comportamenti del personale politico e, di conseguenza, nel giudizio dei cittadini. Quando declineranno il loro programma per il futuro, sarà inevitabile confrontarlo con ciò che hanno fatto, o non hanno fatto, avendo già detenuto le leve del potere.
E ciò riproporrà la questione cruciale della credibilità. Che principalmente il Partito democratico ligure, ma non di meno Forza Italia, la cui opposizione è stata come minimo evanescente, devono saper ricostruire. E’ questa la vera sfida che arriva dai 5Stelle, non presenti alla competizione del 2010, e da movimenti come Liguria Civica: obbligare i partiti a cambiare in discontinuità da se stessi. Sia nel “fare”, sia nelle figure da proporre al corpo elettorale.
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IL COMMENTO/ Nuovi movimenti e partiti, la sfida del cambiamento
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