
C'é poco da stare allegri a Genova, in mezzo a una città sepolta dalla spazzatura, fiaccata dall'alluvione, massacarata da una crisi doppia rispetto a quella nazionale e per questo visibilissima nella sua quotidianità: negozi tristi, fabbriche in affanno o già agonizzanti, code drammatiche alle mense che la Chiesa, unico fermo baluardo sociale, offre a vecchi e nuovi poveri. In Liguria va un po' meglio, perché il mare anche d'inverno dà segni di vitalità e nell'entroterra ancora funziona lo spirito di solidarietà e di comunità, laddove i sindaci sono davvero prima di tutto con-cittadini.
Suonano quindi stonatissime le due conferenze stampa di fine anno del presidente della Regione da una parte e del sindaco di Genova dall'altra che, impossibilitati a vantare successi tangibili (come fa il premier raccontando al popolo i suoi sogni da Mary Poppins) elencano solo gli ostacoli alle loro presunte ambizioni politico-amministrative giocando al ping pong delle ripicche.
Non sono i sassolini che i personaggi della politica sono bene abituati a togliersi dalle scarpe, ma in questo caso penosi duelli tra moschettieri con le spade spuntate.
Sotto gli occhi dei liguri e dei genovesi c'è un rosario di incompiute, anzi di nemmeno cominciate: gronda, terzo valico, sistemi di sicurezza ambientale per anni archiviati, waterfront modificato e snaturato, caporetto della sanità, turismo senza coordinamento, spese pazze e altro, università antidiluviana, tradotte mascherate da ferrovie, bus allo sbando, manutenzioni cancellate.
Forse sarebbe stato più elegante, per quest'anno, tacere.
O scusarsi.
IL COMMENTO
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