
"Non ce l'abbiamo con la ditta, che investe 15 milioni di euro. Ben vengano gli imprenditori - precisa Arecco - ma la collocazione urbanistica è sbagliata, insensata. Non servivano approfondimenti tecnici o politici, bastava il buon senso per capirlo". Il deposito della vergogna, in effetti, dovrebbe sorgere proprio a qualche centinaia di metri dal Priamar, il simbolo del rilancio turistico savonese. E a pochi chilometri dalle spiagge più belle della provincia.
"La vicenda del bitume - prosegue Arecco - non inciderà solo a livello elettorale. È stata compromessa l'immagine stessa di Savona. Non siamo rovinati del tutto, ci si può ancora mettere una pezza, ma tutti gli imprenditori della zona sono arrabbiati, soprattutto ristoratori e alberghi".
E non solo loro, perché i residenti il loro "no" lo hanno detto chiaro, raccogliendo in una manciata di settimane circa 10 mila firme contro il progetto. Dalla giunta locale a quella regionale, la sensazione è che la decisione sia stata presa in barba alla volontà dei cittadini.
"Noi non siamo contrari al bitume in sé - continua il capogruppo leghista - ma non lì, ci sono tantissimi altri spazi. È vero, la Regione aveva dato l'ok, non occorreva la valutazione ambientale. Tecnicamente è così, ma politicamente serviva più attenzione".
Oltre ai danni d'immagine, il timore di Arecco è che la questione porti con sé strascichi in termini politici ed economici: "Speriamo che la ditta, una ditta seria, non chieda risarcimenti o avvii azioni giudiziarie contro l'amministrazione. Sarebbe un ulteriore problema per questa città. Chi viene per investire, lo ripeto, deve essere tutelato e non deve trovarsi un'amministrazione che prima dice di sì e poi si rimangia le decisioni".
La battaglia per un sito alternativo continua, sia in Consiglio sia fuori: "Siamo attivi sui social network, scriviamo articoli su articoli, partecipiamo alla raccolta firme", spiega Arecco. Il bitume della discordia ha compiuto il mezzo miracolo di amalgamare tra loro forze politiche tradizionalmente distanti: dai Cinque Stelle alla Lega passando per la sinistra estrema e il centrodestra moderato, il nemico comune si chiama Pd. Chissà, poi, come si ricomporrà lo scacchiere all'appuntamento elettorale.
IL COMMENTO
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