Marco Doria ha deciso di passare alla storia di Genova come il sindaco che si è fatto scippare il Salone Nautico? La domanda sorge spontanea dopo la surreale risposta data a chi manifesta serie perplessità di fronte al presunto "raddoppio" dell'evento che Ucina, la Confindustria del settore, ha annunciato di voler realizzare a Venezia. Dice il primo cittadino genovese: "Non possiamo governare scelte altrui".
All'insaputa di se stesso - perché manifestamente non mette in fila le situazioni - Doria in questo modo spiana la strada all'antico disegno di portare il Nautico lontano dalla Lanterna (c'è anche Milano sulla sponda del fiume) quando il suo ruolo istituzionale sarebbe invece quello di difendere la manifestazione, le sue radici storiche (l'ultima è stata l'edizione numero 55) e tutto il contesto economico.
Dunque mi sarei aspettato che di fronte a questa storia Doria semplicemente si incazzasse, per dirla con un francesismo, facendo violenza al suo tratto nobiliare e chiamando subito a rapporto tutti coloro che stanno contribuendo allo scippo del Salone. Macché. Il sindaco se ne esce con le "scelte altrui", mostrando o di non conoscere o di avere la memoria cortissima. Provo a rinfrescargliela.
Primo: esiste un marchio che si chiama Salone Nautico Internazionale (attenzione: senza l'appendice "di Genova") che è di proprietà della Fiera, della quale il maggiore azionista è proprio il Comune, cioè l'ente che Doria governa. Questo vuol dire che nessuno può utilizzare quel brand se non gli viene concesso.
Secondo: Ucina, attraverso la sua presidente Carla Demaria, annuncia il "raddoppio" primaverile, facendo esattamente la cosa che il suo predecessore Massimo Perotti aveva proposto (l'ipotesi, per essere precisi, parlava di maggio) e che è stata fra gli argomenti che hanno spaccato la Confindustria del mare, producendo la secessione di Nautica Italiana, che raduna i grandi produttori del settore (da soli coprono circa l'80 per cento del fatturato nazionale). Quesito: se la data di primavera, che peraltro riguardava il Salone di Genova, non andava bene quando a suggerirla era Perotti (anche per allontanare il calendario,rispetto a Cannes e Montecarlo) perché va bene adesso che se la spende Demaria? Non si capisce.
A meno di capire benissimo immaginando che Ucina abbia voluto stoppare, intanto bloccando un periodo-data, l'iniziativa preannunciata da Nautica Italiana, per un evento primaverile peraltro non meglio identificato in termini di tempo e di luogo. L'impressione, cioè, è che siamo di fronte all'ennesimo scontro fra gli imprenditori del settore, con in mezzo Genova, che rischia di subirne il danno maggiore.
Terzo: è pur vero che ci sono della rassicurazioni in proposito (il cuore della nautica italiana continuerà a battere all'ombra della Lanterna) ma verba volant e ad onta di tutto l'orgoglio che i genovesi possono mettere in campo bisogna avere la serena consapevolezza che un Nautico realizzato a Venezia, anche se inizialmente in tono minore come si suppone (improbabile che le grandi griffe si presentino essendoci il maschietto Ucina), non troppo alla lunga soppianterebbe quello di Genova, perché la capitale della Laguna ha un appeal internazionale decisamente superiore alla città dei Doria.
Quarto: ma non era Ucina a dire che i piccoli e medi espositori ormai faticano a sopportare anche la sola partecipazione al Nautico e che, dunque, bisognava offrire loro migliori servizi a più basso costo e non fantasticare sull'aggiunta di eventi?
Quinto e non ultimo per importanza: Ucina fa la voce grossa e prova a imporre le proprie volontà forte del fatto che controlla al 100 per cento "I Saloni Nautici", cioè la società che ha organizzato le ultime due edizioni. Esiste però un gentleman agreement in base al quale la Fiera dovrebbe entrare nei "Saloni Nautici" al 50 per cento, operazione finora non realizzata per le difficoltà finanziarie dell'ente. Non so se questa intesa sia corroborata da patti parasociali o da atti comunque scritti, in ogni caso sarebbe poco elegante, diciamo così, se Ucina volesse tenere tutta per se' la società, facendone il veicolo che andrà ad affondare il Salone di Genova.
Gentile sindaco Doria, ci sono almeno cinque buone ragioni - e altre probabilmente se ne potrebbero aggiungere - per non ritenere affatto - come del resto fanno il senatore Maurizio Rossi e il segretario della Cisl Luca Maestripieri - che il raddoppio del Nautico, per giunta a Venezia, sia un evento ineludibile e, soprattutto, che riguarda "scelte altrui".
Le decisioni sono strettamente genovesi e chiamano direttamente in causa il ruolo della politica. Del Comune come della Regione, anch'essa un po' troppo prudente su questo fronte, e degli altri possibili attori, vedi Camera di Commercio, che o hanno in capo una potestà azionaria (si guardi alla voce Fiera) oppure una facoltà di parola dettata da ciò che il Nautico significa per l'intera Genova e per la Liguria tutta.
Carla Demaria era e resta un'ottima manager, quando si è insediata ha avuto parole coraggiose nel denunciare il difficile rapporto con il contesto genovese, però non deve dimenticare che nel corso degli anni Ucina, cioè gli imprenditori del settore, ha avuto molto dalla città, in termini di investimenti e di impegno.
E farebbe bene anche ad allontanare subito le ombre delle dicerie che ricordano come lei guidi un'azienda che ha cantieri a Monfalcone e appartenga al gruppo Jeanneau Beneteau, il quale esprime pure la guida del salone di Cannes. Cesare e la moglie di Cesare devono essere inattaccabili.
politica
Il Nautico a rischio scippo e la memoria corta di Doria
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