Il caso del Blue Print, progetto di Renzo Piano per collegare con canali d'acqua e promenade il Porto Antico e la Fiera, diventa il vero esame di maturità per la città, il suo sindaco, il futuro dell'unica grande industria rimasta, quella delle Riparazioni Navali. E mette al centro dell'ennesimo dibattito-confronto un altro angolo della città, inedito per prove cosi importanti: il nobile e un po' riservato quartiere di Carignano.
Negli anni Settanta, Ottanta la questione dello sviluppo riguardava la Valpolcevera e le raffinerie di Garrone. Negli anni stessi anni ci si scannava per rilanciare il centro storico, tra sogni, progetti e gran spolvero di architetti. Negli anni Novanta, e fino a ieri, il quartiere chiave dei match politici, ideologici, ambientali era Cornigliano con la sua acciaieria e la difficile convivenza, appunto, di ambiente e lavoro.
Con la città ristretta e in decadenza oggi l'ombelico del mondo (genovese) si sposta in quel pezzo di territorio che sta nei confini di Carignano e il suo contradditorio affaccio al mare e al porto.
Il sindaco Marco Doria si gioca in questa partita l'unica fiche che ha avuto il coraggio di buttare sul tavolo in una prospettiva che non sia solo difensiva: firmare un'opera che cambia la faccia di un pezzo della città.
Altro che tentennare sulla Gronda, accettare con fatica il Terzo Valico, farsi crocifiggere dai bilanci dell'Amt, sprofondare nella rumenta e nella gestione dell'Amiu, restare impigliato nel mercatino in via Turati! Ecco finalmente una promessa di largo respiro, che apre un orizzonte e che non sia solo difensiva del territorio, come lo scolmatore del Fereggiano o gli altri investimenti per salvarci dal crak idrogeologico.
L'industria genovese, che è post industria, uscita da un passato glorioso e appesa acrobaticamente solo alla scommessa esasperata e sfinente di Erzelli hig tech, gioca nel disegno di Renzo Piano la possibilità di una sopravvivenza dell'ultimo suo settore di indiscussa eccellenza mediterranea e internazionale. Se non si fa il Blue Print e anche subito, addio Riparazioni Navali. Minacciano di andarsene a Marsiglia e altrove e il cadavere sminuzzato della Concordia diventerebbe il funerale di prima classe di una grande tradizione.
Ma guai a muovere verso la città intera con questa minaccia un ricatto, a porre un aut aut. Soprattutto se questa imposizione viene solo da una parte dei soggetti interessati a un’area che è di tutta la città. Non si può nascondere, d'altra parte che le Riparazioni Navali messe lì sono il grande equivoco portual-industriale di Genova e come non sia un caso che il Waterfront di Renzo Piano, progetto primogenito del totale grande disegno della costa, le avesse collocate a Ponente, immaginando tutto intero lo sviluppo della città da Voltri a Punta Vagno.
Sappiamo come è finito quel disegno: nella bacheca del Museo del Mare e dove sono rimaste ad asfissiare le Riparazioni Navali. E sappiamo come si erano schierate le forze cittadine sul tema così scottante. Più generalmente il Blue Print con i suoi collegamenti, i suoi canali, i suoi riempimenti, le sue demolizioni, è la prova di maturità di una città incrodata ancora dopo decenni a discutere se il porticciolo Duca degli Abruzzi, nobile sede dello Yacht Club italiano e gli altri circoli nautici vadano spostati e i relativi specchi d'acqua tombati e trasformati in zona industriale.
Una discussione infinita, che ha sfinito più generazioni di difensori dello status quo e “innovatori”, pubblici amministratori e imprenditori, gran signori-yacht man in blazer blu e cravatta del club, diportisti e industriali della navalmeccanica, nonché presidenti, dirigenti, funzionari di quello che una volta era il Cap ed ora è l'Autorità portuale. Senza mai arrivare a una conclusione.
Nella realizzazione del Blue Print Genova c'è anche la unica carta di trovare un destino accettabile per le aree della ex Fiera del Mare e per le sue perdute adiacenze, oggi diventate il residuo spezzettato e contradditorio di un'area dal passato trionfante. Era il passato del Salone Nautico, passaporto internazionale della città, oggi ridotto a quattro stand e a due marine e alla imbarazzante spianata di cemento di Piazzale Kennedy, dove resistono imperterriti il Circo e il Luna Park, leoni in gabbia, i pagliacci e tiro a segno e, quando non ci sono queste “distrazioni”, via libera alle lezioni di scuola guida o ai posteggi delle auto di coppiette in cerca di intimità con vista sulla foce del Bisagno.
Decidere subito se fare il Blue Print significherebbe uscire dalle sabbie mobili, dal pantano, ammesso di essere ancora in tempo per le decisioni, quali che esse siano, e non già nella giungla del Tar, del Consiglio di Stato, dei ricorsi e delle sospensive. Genova non ha bisogno di un'altra Acquasola, paralizzata e costretta al degrado nel cuore di Genova da una battaglia infinita.
Qua siamo a Carignano fronte mare e ricordiamo come finì venti anni fa con il famoso Superbacino, grande opera mai conclusa, alla fine svenduta ai turchi che ci hanno fatto i miliardi.
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Il Blue Print, le minacce, Doria e il nuovo ombelico di Genova
Al centro dell'ennesimo dibattito-confronto un altro angolo della città
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