Nella città più vecchia d'Italia, d'Europa, del mondo (non sono battute ma statistiche) chi può salvare il futuro dei giovani, delle generazioni che si affacciano sul mondo del lavoro e non sanno dove precipitare?
Nella città dove il tasso di vecchiaia, quello misurato comparando il numero degli ultrasessantacinquenni con quello dei quattordicenni, schizza più in alto che altrove, ora è al 239 per cento, e ancora salirà, quando arriveranno a diventare over 65 le generazioni del baby boom, cosa si fa per preparare un lavoro, un futuro, una società a misura anche di non vegliardi, per le nuove generazioni?
Nella città che gli scienziati della demografia internazionale, in testa gli americani, vengono a studiare scientificamente per preparare a casa loro l'invecchiamento della popolazione sui nostri modelli “avanzati”, come si muovono i politici, gli amministratori, gli intellettuali, gli esperti della old old old Genova?
Non fanno niente o quasi, non si pongono il problema, tentano timidamente di orientare, come avviene con il Salone che sta per essere inaugurato in questi giorni, le vocazioni al lavoro di generazioni che non sanno dove trovarlo e che non sono state indirizzate fino ad ora a prepararsi per intercettare quel poco che rimane.
La città scivola in un modello stravecchio, economicamente retta dalle pensioni dei nonni, con tutti i numeri racappricianti del declino demografico (135mila abitanti che vivono soli, di cui 77.365 di sesso femminile, il 36,6 di case occupate da soli, 400 ultracentenari). E i giovani?
Dimagriscono o scappano: su una popolazione di meno di 600mila abitanti, tra i 25 e i 34 anni sono in 3500, e tra i 35 e i 44 anni sono in 2850. Una desertificazione giovanile e si capisce perchè si chiamano i cinquantenni ancora “ragazzi” e non per spirito di goliardia. Insomma i giovani devono arrangiarsi da soli e se Genova si vuole salvare devono cambiare loro la città.
Devono determinare loro il futuro e non farselo costruire sul modello stravecchio. Devono obbligare una città, che ancora strippa di soldi nelle banche e in patrimoni immobiliari sterminati e congelati, come diceva Romano Prodi qualche tempo fa, a finanziare le start up, a definire i nuovi confini dello sviluppo. Ci vogliono camerieri, commessi, professionisti delle attività ricettive e della ristorazioni, manutentori di installazioni elettroniche, storici dell'arte e chissà che altro?
Glielo dicano e preparino le nuove mappe. Mettano i numeri chiusi alle scuole e ai corsi che non hanno prospettive di lavoro nei prossimi anni.
Se no le nuove generazioni continueranno a fuggire a decine di migliaia a Milano, all'estero, perfino a Singapore, dove fioriscono colonie genovesi e dove c'è una macaja che batte perfino la nostra!
E a Genova, tanto per dimostarsi avanzati e moderni, regaleranno i computer agli anziani nonni e pensionati che fra un po' dovranno fare tutto da soli.
politica
Giovani non scappate da Genova, cambiatela
La città scivola in un modello stravecchio
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