Squadra che vince non si cambia, recita un antico adagio popolare. E se la squadra perde? Di solito il primo a saltare è l'allenatore, ma poi anche buona parte dei giocatori viene accantonata. E si prova a ricominciare. La metafora calcistica, però, non sembra adattarsi un granché alla realtà del Pd ligure. Dopo la batosta alle regionali, l'allenatore - al secolo Giovanni Lunardon, ex segretario dei dem di Liguria - ha fatto fagotto, ma i giocatori stanno ancora tutti lì, ognuno a perorare la propria causa e a tentare di essere il protagonista principale della rivincita.
Va letta prima di tutto così la riunione di ieri sera dei renziani liguri, che si sono ammassati - ma non tutti - accanto al numero due bis del partito, Lorenzo Guerini (il numero due primus appare sempre di più Debora Serracchiani), e al ministro della Difesa Roberta Pinotti. Alla fine l'incontro si è tradotto in una lezione di "renzismo" e, in particolare, di fedeltà alla linea del governo. Per la serie: la Liguria ci risparmi i gufi come da definizione del Capo e veda di evitare qualsiasi "ma" quando si tratta di giudicare le scelte di Palazzo Chigi, che sono pure le scelte del leader del Pd stesso.
Intendiamoci, nulla di sconvolgente o di scandaloso. Solo che le stesse cose Guerini le ha ripetute poche ora prima davanti ai rappresentanti dei circoli genovesi, dal che non si evince la stringente esigenza di procedere anche a quella che i tutta evidenza è stata una riunione di corrente. La sola spiegazione possibile è che il vero succo della giornata di ieri stia nel non detto, nel retrobottega della Ditta, come la chiama Pierluigi Bersani.
Gli spifferi romani raccontano che Matteo Renzi non sia così predisposto all'ascolto nei confronti di coloro - leggasi Raffealla Paita e Claudio Burlando - che lo hanno portato a sbattere in Liguria, consegnando la Regione al luogotenente - Giovanni Toti - di Berlusconi e facendogli fare una figura da bischero. Ha voglia l'amico Oscar Farinetti a sgolarsi che Burlando, la Delfina e sodali sono gente in gamba e con seguito. Renzi non si fida, ma il cinismo che gli si riconosce persino come un pregio lo spinge a tacere e a non esporsi con bacchettate dirette e inappellabili. Del resto, in un momento nel quale il Pd rischia altre fuoriuscite a sinistra ogni iniziativa tesa a rinserrare le fila torna certamente utile. Quindi: i liguri facciano pure.
Se questo è il presupposto, vale anche un'altra considerazione: con il Capo sordo a ogni sollecitazione, Burlando e Paita hanno bisogno di un interlocutore nazionale che in qualche modo ne assecondi le future ambizioni. Guerini ha il ruolo e il profilo giusti. Cioè: è pur sempre il vicesegretario del partito ed egli stesso ha l'esigenza di arruolare un proprio esercito. Fateci caso: mentre la posizione della Serracchiani non è mai stata in discussione e anzi va rafforzandosi ogni giorno di più, di Guerini nei mesi scorsi si era parlato di una possibile uscita dal vertice del partito. Ora, non è che si possa parlare di gelo fra lui e Renzi, ma di sicuro i sommovimenti di questo periodo consigliano anche i luogotenenti a mettersi al vento.
Questo spiega il diverso atteggiamento di Guerini, molto disponibile nei confronti del nuovo agitarsi di Burlando, rispetto a quello del commissario David Ermini, assai più prudente. Questione di ruolo? Forse. O forse è che Ermini e Renzi si conoscono e frequentano da sempre, quindi problemi di relazioni fra di loro proprio non ne esistono.
In un quadro tanto fluido quanto poco chiaro, non stupisce, allora, l'inconcludenza del vertice fra i renziani liguri. Ma nessuno si faccia illusioni leggendo le cronache sulla professione di umiltà fatta da Raffaella Paita: "Non mi candido a niente". Anche a volerle credere - e resta difficile, avendo preteso di fare il capogruppo in Regione nonostante la cocente sconfitta elettorale - sarebbe solo una su mille. Il problema del Pd ligure è che tutti si candidano a tutto. Convinti che sia un diritto derivante dal dichiararsi renziani di ferro nell'era del renzismo. Peccato, per loro, che alla fine decida Renzi. Il quale sa ben riconoscere i sostenitori autentici da quelli taroccati. In passato questi non erano tutti bersaniani?
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Se Renzi non riesce a fidarsi dei renziani che erano bersaniani
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