Lui è uno che di porti se ne intende. Cirillo Orlandi, oggi reggente della sede regionale della Banca d'Italia, ha seguito in prima linea la costruzione del Vte, è stato presidente dell'autorità portuale alla Spezia, e nel mondo ha lavorato ad Anversa e in Cina. Luoghi che in fatto di logistica rappresentano il futuro del mondo intero. Dopo anni è tornato negli studi di Primocanale per parlare a tutto campo di riforme, concessioni, modelli di investimento.
Cosa è cambiato a Genova in porto dalla costruzione del Vte a oggi?
Negli anni '90 è cambiato moltissimo. La rivoluzione di Genova in quel periodo ha fatto notizia su scala europea. Nell'arco di dieci anni siamo cresciuti a ritmi senza eguali in Europa. Alcune aree macinavano valori del 130% annuo, in media eravamo oltre il 15%. Dal 2000 ad oggi la situazione è drasticamente precipitata. Mentre guardavo il magnifico panorama di Genova da quassù, ho visto un paesaggio che conoscevo molto bene già vent'anni anni fa. È cambiato molto poco
Fu proprio lei a gestire la costruzione Vte. Si trattò di un investimento privato di Fiat, ma collaborò anche l'Autorità Portuale.
Sì, e fu il primo esempio in Italia di intervento misto privato/pubblico in cui il privato era maggioritario. Quando, nel 1994, è stato sollevato il primo contenitore a Voltri, l'investimento di Fiat era stato di 201 miliardi, mentre il Porto aveva messo 181 miliardi. Un dato originale, diventato poi consueto negli anni a seguire.
La costruzione del Vte rappresenta punto di non ritorno, anche per via dei rapporti interni. Fu il primo terminal a prevedere una concessione di 60 anni. È possibile che sia quello il precedente di chi oggi chiede tempi così lunghi?
Proprio perché fu il primo porto in cui l'investimento privato fu superiore a quello pubblico, già prima della partenza la parte immobiliare fissa realizzata a Voltri non consentiva un ammortamento in 15-20 anni. Con un investimento di 300 miliardi non si possono dare concessioni brevi. Accade lo stesso in altre parti del mondo. Anche in Calabria, a Gioia Tauro, dove il terminal è altrettanto grande se non di più.
Ma in quei casi si facevano strutture nuove da zero. Oggi, per banchine già realizzate e con business plan che si limitano a promettere investimenti, è corretto chiedere concessioni di 60-70 anni?
Non ho abbastanza conoscenze per espirmermi su un fatto specifico. Ma nelle concessioni si realizzano interessi sia pubblici che privati. Tradizionalmente la parte pubblica corrisponde all'infrastruttura uno e la privata al funzionamento, è un sodalizio positivo. Se il pubblico programma un nuovo porto che stima inalterato per mille anni, una concessione di mille anni non avrebbe niente di paradossale. Ma deve corrispondere a un piano di trasformazione realizzato dalla parte pubblica. Se non c'è questa coerenza viene meno il concetto stesso di concessione. L'infrastruttura portuale non è eterna. Il Vte rifletteva anche un investimento di durata almeno centennale, quindi una concessione di 60 anni aveva senso. Oggi non mi pare che il porto abbia raggiunto una tranquillità nella programmazione delle infrastrutture. Ad esempio: nel '96 avevamo programmato il riempimento di Calata Bettolo. Mi sono mica perso l'inaugurazione?
All'epoca, comunque, Fiat chiese 60 anni a fronte di un business plan presentato prima di ricevere l'autorizzazione. Nel momento in cui oggi si chiede una deroga, sarebbe corretto presentare prima un business plan oppure meglio vedere strada facendo?
Le garanzie, se per 60 anni e una tantum, devono coprire l'arco delle concessioni. Oppure le concessioni si adeguano, ma non solo in base agli investimenti. Anche quelli possono essere sbagliati e non dare gli utili attesi che si adeguano non solo su base investimenti.
Ma una concessione di 60 anni non significherebbe bloccare il futuro del porto?
Se lo status quo fosse proiettato sul futuro, no. Ma Genova non è cambiata. Anzi, nel panorama mondiale ha fatto passi indietro. Nel frattempo sono aumentati sia il numero di navi sia il volume di traffici. Ed è una crescita globale
Allora qual è la durata corretta per le proroghe?
È molto difficile stabilirlo. Se il piano non è di lungo periodo, concessioni lunghe bloccano il territorio, diventano un freno. Ma questo dovrebbero considerarlo le attività portuali.
Lei ha anche un piccolo record. Ha messo d'accordo soggetti mai così litigiosi nella storia del porto.
Beh, c'era un conflitto tra le imprese private e la Compagnia Unica. Degnissimo, perché esistevano delle ragioni per conflitto. Ma le parti private erano schierata in modo monolitico. Poi si è ristabilita immediatamente una tregua. E il console Batini, quando fu deciso che il Vte poteva adoperare maestranze proprie, venne da me e mi disse: avete vinto. E da allora siamo diventati i migliori clienti della Compagnia.
Come li mise d'accordo?
Abbiamo combattuto fino all'ultimo minuto. Poi il Governo ha deciso che l'impresa doveva essere responsabile dell'attività portuale e terminalistica. Ma fino all'ultimo, ciascuno ha difeso un principio. E lui è stato straordinario nell'accettazione del nuovo.
Guardando a Genova, di quanto tempo avrebbe bisogno la pianificazione?
Venti anni fa la dimensione Genova/Voltri poteva risultare soddisfacente. Oggi pensiamo solo che il terminal container di Barcellona, una sola città, sviluppa un traffico pari a una volta e mezzo quello dell'intera Liguria. Pensare ai tre porti liguri nell'insieme è indispensabile per avere un minimo di visibilità europea. Per questo credo che il business plan andrebbe fatto regionale.
E così veniamo al nodo della riforma: fusioni Savona-Genova, Spezia-Carrara. Cosa non funziona, come dovrebbe andare?
Negli anni Novanta ad allenare il Genoa c'era il grande Scoglio, un filosofo. All'epoca si parlava di fusione con la Samp. E lui diceva: “solo i metalli si fondono, mai i sentimenti”. Sui porti non si tratta di fusione, ma di programmazione unica. È impensabile avere porti vicini in competizione, è suicida. Meglio collaborare per cogliere tutti gli sviluppi globali. Secondo me ci vuole questo: una sola autorità regionale per la pianificazione strategica. E i dettagli li possono gestire gli uffici tecnici.
Se potesse suggerirlo a Delrio, quale sarebbe l'intervento più urgente secondo lei?
Gli direi di fare una riforma semplice, sapendo che farà una riforma di transizione. Non andiamo già allaperfezione porti del Nord Europa o della Cina, che ha un modello di portualità esemplare. Prevedo due step: il primo, rendere la portualità da puntuale a regionale. Il secondo passaggio: un merge di responsabilità tra capitali pubblici e privati in programmazione. La parte pubblica vigila che l'attività corrisponda ai piani definiti all'origine del nuovo porto. Succede così nel resto del mondo. Pensate, Mersk e la Cina si mettono d'accordo su un terminal per 2000 anni.
Qual è il punto di forza della Liguria, quello su cui lavorare di più?
La portualità ligure esiste perché ha alle sue spalle l'area di più alto valore economico in Italia. Il porto è la congiunzione tra due territori separati dal mare. E la sua grandezza si misura dalla capacità di contribuire allo sviluppo dei territori serviti.
porti e logistica
Cirillo Orlandi a Primocanale: "Il Porto di Genova non è cambiato, anzi ha fatto dei passi indietro"
E sulle concessioni: "60 anni bloccano lo sviluppo degli scali"
5 minuti e 50 secondi di lettura
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