Per la quarta volta nella storia repubblicana, cioè dal 1946 ad oggi, Genova ha un nuovo piano regolatore. Il giorno 3 dicembre questo strumento fondamentale nella vita di una città è diventato operativo, dopo una preparazione sterminata, dibattiti tecnici, politici, economici, un iter infinito e con una partecipazione collettiva nel nome della democrazia più viva.
Verrebbe da esultare: si conclude un percorso lunghissimo, che aveva cominciato la giunta di Marta Vincenzi, nel quale era intervenuto Renzo Piano (Vincenzi non aveva nominato assessori all'Urbanistica, teneva per sé e per i consulenti questa partita così delicata) e che la giunta Doria ha modellato in modo definitivo ed anche significativo.
E' un piano regolatore “fai da te”, costruito dai tecnici comunali, dagli urbanisti di casa, non ha firme esterne, di archistar, di personaggi dal nome altisonante. Ha raccolto qualche spunto di Piano, come quello della linea verde, di “costruire sul costruito”, di non consumare più il territorio di Genova, ma poi è diventato autonomo nella sua definizione, nella sua regia, strettamente controllata dal vicesindaco Stefano Bernini.
Da oggi, quindi, il disegno genovese ha una certezza di legge, che agevola il lavoro di chiunque mette mano alla città per costruire, modificare, per trattare il territorio nelle diverse forme nelle quali una città interviene su se stessa, sulla sua pelle, sulle sue strade, sulle sue infrastrutture, sui suoi sempre più delicati equilibri. Ci sono nuove tavole della legge, non c'è più l'incertezza delle regole che vigeva da anni, quelli nei quali l'attesa per il Prg si stava consumando. Si semplifica il lavoro degli architetti, dei geometri, degli impresari, di chiunque voglia mettere mano.
Non si vive più in quello stato di tensione tra le regole vecchie del precedente disegno e quelle nuove, ispiratrici delle decisioni degli uffici, il famoso molok della burocrazia comunale. Ci sarebbe non solo da dire evviva, ma da esultare proprio per la semplificazione e per la sensazione che un territorio delicato come quello di questa Genova, dall'equilibrio idrogeologico tanto fragile e a rischio, ha finalmente la sua gabbia certa e sicura.
Ci sarebbe anche da sottolineare come il passaggio sia importante, anche se strannunciato nei passi dell'iter al quale mancava solo questo timbro finale: in fondo il sindaco Marco Doria, spesso così criticato per il suo indecisionismo, per la mancanza di una visione globale della città, porta a casa un risultato netto che i suoi predecessori non erano riusciti a incassare o che non avevano neppure perseguito. Ripetiamo: è il quarto sindaco da Faralli in avanti che può dire di avere ridisegnato Genova da cima a fondo e per di più con un processo che sta in linea con la sua filosofia politica, sulla quale spesso si è fatta dell'ironia: la partecipazione più diffusa possibile.
Se si pensa a quanto la città sia cambiata in questi decenni, a come muti la sua vocazione, dalla demografia in abbattimento verso il mezzo milione di abitanti, al suo destino economico, con l'industria che ha perso centinaia di migliaia di posti di lavoro e centinaia di fabbriche, si capisce quale impresa sia preparare per questa città, in grande trasformazione un, nuovo abito. Eppure manca qualcosa, a parte la sostanziale indifferenza nella quale un passaggio tale viene salutato, senza che rullino i tamburi e suonino le trombe o almeno si senta, sullo sfondo dei tanti tormenti civici, partire qualche applauso.
Manca un'anima, manca uno spirito che soffi dentro a quell'abito nuovo di zecca, alle cuciture che punteggiano il grande disegno. Abbiamo ora un modello nuovo con limiti precisi e con altre aperture che il piano regolatore codifica, ma per fare che di Genova, la ex Superba?
Non basta un abito ben cucito, ci vuole lo spirito che anini la materia, ora certa, della città. Traduciamo questa aspirazione: il nuovo piano regolatore è preciso nel prevedere, per esempio, le grandi infrastrutture, la Gronda, il Terzo Valico, i nuovi nodi intorno al porto, le strade a mare, mostra chiaramente fino a dove si può arrivare a costruire e ricostruire senza infrangere la linea verde.
Ma ora bisogna spiegare per cosa queste opere possono essere “installate” nel disegno con i loro limiti, per rispondere a quale visione in movimento si corrisponde al modello di leggi e regolamenti.
Insomma, ci offrano una prospettiva larga, un orizzonte ampio della Genova di domani.
Non basta prevedere il Blue Print e immaginare che colleghi il Porto Antico alla Fiera. Vogliamo una città che recuperi tutta la sua linea di costa, incominciando da Corso Italia, che il Blue Print attinge, che abbia un'idea della fine che farà Cornigliano, dopo i decenni di schiavitù siderurgica, con la strada a mare, con Lungo mare Canepa rifatto. Dobbiamo capire come sarà con il nuovo ospedale Galliera ( la cui variante è sancita nel nuovo Prg) il quartiere di Carignano, appunto tra Blue Print e Ospedale.
E quali leve si muovono per riscattare veramente il centro storico, di cui non possiamo occuparci solo per risolvere il problema della movida giovanile del chupito a un euro? Avete fatto il piano regolatore nuovo. Bene, bravi, dieci e lode. Ma ora dategli un'anima. Non solo una planimetria.
politica
Il disegno di Genova è pronto, ma ora metteteci un'anima dentro
Non basta prevedere il Blue Print e immaginare che colleghi Porto Antico e Fiera
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