"Sto pensando con attenzione di candidarmi, scioglierò a breve la riserva". In realtà sembra proprio che il dado sia tratto e che Francesca Balzani si presenterà alle primarie di Milano per la scelta del candidato sindaco di centrosinistra. La prudenza avuta nelle parole pronunciate lunedì durante 'Otto e Mezzo', il salotto quotidiano di Lilli Gruber su La7, è stata solo una concessione che Balzani ha fatto alle turbolenze che nei prossimi giorni agiteranno ancor più le viscere del Pd.
È noto che il premier e segretario dei dem Matteo Renzi a Palazzo Marino vorrebbe invece spedirci Giuseppe Sala, gran cerimoniere dell'Expo e prim'ancora pezzo forte dell'amministrazione di centrodestra guidata da Letizia Moratti. L'idea è che possa elettoralmente mettere insieme i voti del Pd, che in un modo o nell'altro alla fine dovrebbero arrivare, e quelli di un'area moderata che, secondo Renzi, la Balzani non riuscirebbe a intercettare. In nuce, sostengono alcuni osservatori, sono prove tecniche di Partito della Nazione.
Se l'obiettivo è quest'ultimo il discorso si fa complesso, articolato e anche diverso. Se, invece e come dovrebbe essere, il Pd punta semplicemente a riconquistare il Comune di Milano l'operazione è difficile da comprendere. Come può preferire, il leader del partito, un pur ottimo manager (al netto degli scandali pre Expo) a una candidata che rappresenta la continuità di un lavoro amministrativo ritenuto dai milanesi per primi "una storia di successo"?
Balzani non solo è il vicesindaco, è anche l'assessore al Bilancio che ha saputo indirizzare in modo virtuoso la gestione della capitale economica d'Italia ed è sul campo che si è guadagnata la stima e la fiducia del sindaco Giuliano Pisapia. Il quale non a caso l'ha designata - anche nel ruvido incontro avuto con Renzi la settimana scorsa - come ideale successore. Sala potrà contare su appoggi storicamente estranei al Pd e anche sulla riconoscenza dei molti ai quali ha elargito fatturati (senza gare) per allestire l'Expo, ma questa estemporaneità potrà valere, agli occhi dei milanesi, più del buon lavoro condotto quotidianamente? Improbabile, considerando il pragmatismo tipico dei lombardi, poco inclini a farsi suggestionare dalle sirene di partito nelle loro scelte. Come la stessa vittoria a sorpresa di Pisapia, quasi cinque anni fa, è lì a dimostrare.
Qui, così, vien fuori la strana propensione al masochismo dei vertici nazionali del Pd. La vicenda milanese, infatti, ha molti tratti comuni con quanto accaduto alle regionali in Liguria. Il rischio di sconfitta legato alla candidata Raffaella Paita era sotto gli occhi di tanti, tantissimi - sia dentro il partito, sia fuori- ma nessun "avviso ai naviganti" è stato preso in seria considerazione in primis da Renzi stesso. Non c'è stata la volontà, o è mancata la capacità, di leggere uno scenario.
La storia si sta ripetendo a Milano. Se in Liguria c'era una stagione da chiudere, per un logorio da gestione del potere che ad un certo punto prescinde dagli stessi protagonisti, nel capoluogo lombardo ce n'è una proseguire. E per cogliere questa realtà non ci vuole molto, basta parlare con i milanesi. Oltretutto in un'epoca nella quale l'esercitazione più frequente dei cittadini è quella del "piove governo ladro", laddove per governo non si fa molta distinzione fra Roma e le singole municipalità.
Del resto, se uno come Stefano Boeri, l'architetto sconfitto alle primarie del 2010 proprio da Pisapia e successivamente assessore alla Cultura (poi dimessosi), ha già annunciato che appoggerà la Balzani, qualcosa dovrebbe pur dire sull'orientamento di un mondo milanese non così direttamente riconducibile all'area più a sinistra del Pd. Renzi, cioè, rischia di sbagliare i conti quando enfatizza il valore elettorale aggiunto che può portare Sala e sottovaluta, invece, l'elevato indice di gradimento (anche in ambienti non di centrosinistra) ottenuto da Pisapia, Balzani e in generale dall'amministrazione uscente.
L'esito potrebbe essere un brusco risveglio alla ligure. Anche a queste latitudini, come oggi a Milano, il centrodestra era dato allo sbando, incapace di scegliere su chi puntare e ostaggio di guerre intestine, fra singoli e possibili alleati. Poi è arrivato Toti, spuntato come il classico coniglio bianco dal cilindro, e si sa com'è finita per il Pd. Comunque, se Renzi proprio non sa che farsene della Balzani a Milano, potrebbe ricordare - soprattutto potrebbero farlo i dirigenti genovesi del partito - che "la ragazza", già apprezzata eurodeputata (prima italiana a essere designata relatore di Bilancio in UE), è genovese. E alle comunali del 2017, oltretutto quando tutti i finanziamenti elettorali saranno stati spesi per la tornata amministrativa della primavera prossima, anche Genova avrà "di bisogno"... Noi ce la prenderemmo volentieri come sindaco.
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Milano, se Renzi ignora la lezione subita in Liguria
Il leader Pd manda in campo Sala contro la Balzani
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