E' come se ai tempi della grande Fiat di Gianni Agnelli, nei ruggenti anni Settanta e Ottanta, avessero messo al posto di un amministratore delegato della grande fabbrica italiana delle automobili un commissario. Non sapevano chi scegliere e allora ecco un bel interim, magari lungo sei mesi, aspettando di trovare il manager giusto. Per Genova oggi il porto è probabilmente molto più importante di quello che era allora la Fiat per Torino. Ma abbiamo il commissario sine die, e con tutto il doveroso rispetto per le capacità e la solerzia dell'ammiragio Pettorino, questa parentesi prolungata e molto prolungabile non ci sembra la soluzione migliore per il futuro del nostro scalo che è il “sale” di Genova, il motore del suo sviluppo, l'unico asset che ci resta.
Se consideriamo che la “vacanza” portuale dura oramai da quasi un anno perchè l'ultimo presidente Luigi Merlo già nella primavera scorsa aveva cominciato a annunciare il suo progressivo distacco per incompatibilità con la corsa elettorale della sua consorte, Raffealla Paita, giungiamo a una facile e allarmante conclusione. Questo porto, così importante per noi e per il Paese, vivrà in un regime di prorogatio per ben oltre un anno, ora che si parla della fatidica nomina addirittura per dopo l'estate.
Ma quale azienda (e il porto è finalmente, almeno dagli anni Ottanta della rivoluzione di Roberto D'Alessandro e poi dai Novanta della privatizzazione di Rinaldo Magnani, un'azienda) si può permettere una gestione, magari rispettabilissima, ma provvisoria?
Se è vero, come sostiene il ministro delle infrastrutture Delrio che Genova-porto è così decisiva per l'economia marittima italiana e più in generale per il Paese, perchè dobbiamo aspettare tanto? Solo perchè la chiaccherata riforma dei porti deve essere limata all'infinito? Solo perchè i poteri che ne derivano in tutti gli scali italiani devono essere distribuiti con il solito bilancino della lottizzazione partitica, che quella della Prima Repubblicaa era un gioco da ragazzi? Allora almeno Craxi, De Mita, Forlani, Andreotti, decidevano rapidamente.
L'elogio della lentezza va bene in altri settori della vita civile, con buona pace del noto libro di Lamberto Maffei, non per il nostro porto, dove si aspettano mosse importanti e non certo solo quella spettacolare di costruire la nuova diga per le supernavi da oltre trecento metri: e le concessioni ai terminalisti, e il destino dell'Eldorado portuale genovese, le aree ex Ilva e la nuova politica del lavoro in banchina, e l'accoglienza per il business montante delle crociere e gli investimenti stranieri sulle nostre banchine, e gli spazi del nuovo Water Front, tra Blue Print, Salone Nautico traslocato sui vecchi moli e i progetti obsoleti dell' Hennebique e di Ponte Parodi ( ho quasi vergogna a citare questi ritardi epocali) e il “fuori muro” e le infrastrutture e il piano regolatore.........Pazienza, laggiù devono decidere chi mettere nella nostra casella di Genova-Savona e lasciano la patata bollente nelle mani dell'ammiraglio.
Nel frattempo possono pure scoppiare gli ultimi scandali, come quello “sfornato” dalla magistratura contabile sui superstipendi, super esodi, dei dirigenti dell'Autorità Portuale nel regno di Merlo-D'Aste e si può giocare la partita che da decenni elettrizza Genova e dintorni: il toto presidente, oggi reso più intrigante dalla contesa Governo-Regione, Delrio contro Toti, un genovese contro uno straniero, “uno di noi” contro un manager, un politico (Biasotti) contro un tecnico (mister X).
Il timore è che ci lascino bollire a fuoco lento per smembrarci meglio, per centralizzare meglio la politica portuale e “funzionalizzarla” in chiave romana, magari con l'alibi di avere messo l'ex Merlo nella posizione di super assistente per la riforma accanto a Delrio.
Di che ci lamentiamo? La sindrome del commissario qui dilaga. Anche l'Ilva del nostro ipotetico tramonto industriale è commissariata. Anche il Terzo Valico, infrastruttura-chiave del porto, ha un nuovo commissario, una gentile signora alessandrina e qualcuno vorrebbe risolvere le impasse di Erzelli con un commissariamento.
Siamo una città di commissari. Magari ne potremmo nominare uno per i giardini dell'Acquasola, che giacciono da vent'anni in un vergognoso abbandono, tra processi, sequestri, tagli di alberi e cantieri. E magari un altro per galleria Mazzini, il nostro salotto, occupato dalle impalcature dove ora i lavori si fermano per mancanza di fondi e dove i commercianti celebreranno con torta e candeline il decennale del primo ponteggio. Abbiamo in proposito un'idea: nominate lì commissario il titolare del famoso negozio della Celere che ripara scarpe e borse. Sono, appunto, velocissimi e efficienti nel loro lavoro. Altro che decenni di attesa. Entri con il tacco distrutto, esci dopo dieci minuti con la scarpa aggiustata. E questa è una città che ha bisogno di correre, o almeno, di camminare subito.
porti e logistica
La città dei commissari e le scarpe da risuolare
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