cronaca

Dopo la fuoriuscita di greggio sul torrente Polcevera
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La Valpolcevera e, allargando la visione, il Ponente sono storicamente il nervo scoperto di Genova. Da Sampierdarena a Voltri, o su per la valle lungo il torrente, dalla fine dell’Ottocento è cresciuta una forte industria per lo più invasiva e insieme un’espansione incontrollata della città che non sapeva più dove trovare spazi per le case, prima di salire la collina.

Lungo l’argine del (della) Polcevera sono nati i nuovi quartieri di una città che aveva scoperto un’ importante vocazione industriale: raffinerie, depositi, fabbriche metalmeccaniche, cantieri, fornaci. Portavano lavoro e occupazione, richiamavano su questo fazzoletto di territorio migliaia di operai e impiegati tanto da trasformare questa “periferia” in una delle aree più produttive, ricche e anche culturalmente e politicamente interessanti.

In questo fazzoletto che presto andrà a superare i 150 mila abitanti, ha posto radici solide la sinistra e in particolare il vecchio Pci. I fortunati che venivano presentati da Sampiedarena a Voltri o fino a Pontedecimo erano sicuri di avere il posto alla Camera o al Senato. Proprio per l’importanza della loro origine politica diventavano rappresentanti più che della città, di quella zona, di quel quartiere.

Tutto questo perché la presenza di industria e abitazioni, il consumo mostruoso di un territorio fragile, tra collina e torrente, avevano creato da subito un’ “emergenza”. Basta ricordare alcune tragedie, come l’esplosione della petroliera Hakuyu Maru nel 1981 davanti alle case di Prà o le infinite alluvioni che hanno messo in ginocchio la vallata per capire come sia la vita quotidiana di chi abita a Ponente.

Una valle e una costa, queste, condizionate da servitù pesanti (e non sappiamo bene quanto ricompensate), obbligate dalla presenza del porto petroli, di vecchie raffinerie e depositi e quindi, necessariamente, di oleodotti-serpente che per forza trovano lungo l’argine dei torrenti le loro via di passaggio obbligato.

Ponente e Valpolcevera sono per questo diventate icone delle sofferenze della città. Alla fine degli anni ’80 si giunse alla cosiddetta “deindustrializzazione” della vallata, con l’abbandono dei serbatoi e la sostituzione di questi con i capannoni dei centri commerciali. Questo forse ci ha fatto dimenticare che l’area è ancora a rischio, che gli oleodotti restano, così come un porto tra le case, che il ponte dell’autostrada passa sulle teste di una decina di palazzi, e ci passa la ferrovia, che i  tir transitano a fianco ai giardinetti dove i bambini vanno a giocare.

Con questa nuova tragedia la Valpolcevera ritorna purtroppo in prima pagina. Ma ci torna tutto il ponente genovese carico di nuovi problemi ambientali e di qualità della vita che devono diventare il primo punto dell’agenda politica di Comune e Regione. Per un piano di grande respiro che non può fare a meno di un intervento nazionale. Qualcuno devo spiegarlo al governo anche battendo i pugni sul tavolo e nel mezzo di infinite campagne elettorali.