salute e medicina

Costruita con materiale organico e testata sugli animali
3 minuti e 13 secondi di lettura
Tra Genova, Milano, Verona e L'Aquila è nata la prima retina artificiale organica, altamente biocompatibile, in grado di rimpiazzare i fotoricettori degenerati. È il frutto di un lavoro di ricerca che ha visto protagonisti l'Iit (Istituto Italiano di Tecnologia) e il Centro di Neuroscienze e Tecnologie Sinaptiche di Genova insieme al Cnst milanese e in collaborazione con il Dipartimento di Oftalmologia dell'Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, Innovhub-SSI Milano e l'Università abruzzese. 

La retina artificiale, impiantata in modelli animali, portatori di una mutazione spontanea in uno dei geni implicati nella Retinite pigmentosa umana, è stata in grado di ripristinare il riflesso pupillare, le risposte corticali elettriche e metaboliche agli stimoli luminosi, la capacità di discriminazione spaziale (acuità visiva) e l'orientamento degli animali nell'ambiente guidato dalla luce. Questo importante recupero funzionale è rimasto efficace per oltre 10 mesi dopo l’impianto della retina artificiale, senza causare infiammazione dei tessuti retinici o dalla degradazione dei materiali costituenti la protesi.

"Questo approccio – precisa Fabio Benfenati, direttore del Centro IIT-NSYN di Genova – rappresenta un’importante alternativa ai metodi utilizzati fino ad oggi per ripristinare la capacità fotorecettiva dei neuroni. Rispetto ai due modelli di retina artificiale attualmente disponibili basati sulla tecnologia del silicio, il nostro prototipo presenta indubbi vantaggi quali la spiccata tollerabilità, la lunga durata e totale autonomia di funzionamento, senza avere la necessità di una sorgente esterna di energia. Questi vantaggi strutturali sono accompagnati da un ripristino della funzione visiva non solo per quanto riguarda la sensibilità alla luce, ma anche l'acuità visiva e l'attività metabolica della corteccia visiva".

In particolare la protesi consiste in un doppio strato di polimeri organici alternativamente semiconduttore e conduttore stratificati su un base di fibroina, una proteina che in natura costituisce la seta. Tale dispositivo è in grado di convertire gli stimoli luminosi in un'attivazione elettrica dei neuroni retinici risparmiati dalla degenerazione. In questo modo, la stimolazione luminosa dell’interfaccia provoca l’attivazione della retina priva di fotorecettori, mimando il processo a cui sono deputati i coni e bastoncelli presenti nella retina sana.

“L’utilizzo di questo materiale organico semiconduttore è stato decisivo nel superare diversi problemi – afferma il prof. Guglielmo Lanzani, direttore del Centro IIT-CNST di Milano - Il fatto di essere organico lo rende soffice, leggero e flessibile, garantendo un'ottima biocompatibilità ed evitando complicazioni ai tessuti circostanti a garanzia di una lunga durata di funzionamento. Inoltre, i polimeri organici hanno la capacità di trasmettere impulsi elettronici e ionici senza grande dispersione di calore, che potrebbe causare ulteriori danni in una retina già oggetto di un processo degenerativo."

I risultati di tale sperimentazione, raccolti nell’articolo scientifico “A fully organic retinal prosthesis restores vision in a rat model of degenerative blindness”, coordinato dal prof. Fabio Benfenati, del Centro di Neuroscienze e Tecnologie Sinaptiche (NSYN), dell’IIT, sono stati pubblicati dalla prestigiosa Nature Materials, tra le più importanti riviste dedicate alle scoperte nelle scienze biologiche, chimiche e fisiche. Verranno inoltre presentati in occasione della prossima Convention Scientifica di Fondazione Telethon che si terrà a Riva del Garda (TN) dal 13 al 15 marzo.

"Speriamo di riuscire a replicare sull’uomo gli eccellenti risultati ottenuti su modelli animali – afferma la dott. Grazia Pertile, direttore del Dipartimento di Oftalmologia dell'Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar (Verona) – L’obiettivo è quello di ripristinare parzialmente la vista in pazienti resi ciechi dalla degenerazione dei fotorecettori che si verifica in numerose malattie genetiche della retina come ad esempio la retinite pigmentosa. Contiamo di poter effettuare la prima sperimentazione sull’uomo nella seconda metà di quest’anno e raccogliere i risultati preliminari nel corso del 2018. Questo impianto potrebbe rappresentare una svolta nel trattamento di patologie retiniche estremamente invalidanti".