cronaca

Il 17 aprile 2016 lo sversamento di 600 mila litri di greggio
2 minuti e 37 secondi di lettura
Il rio Fegino è morto da un anno esatto. L’acqua e la terra sono sporche, non si vedono più nuotare i pesciolini d’acqua dolce. Ma gli abitanti delle sue sponde, quelli no, sono vivi e battaglieri. Vogliono risposte, giustizia e sicurezza. Nelle narici hanno ancora l’odore acre e nauseabondo del greggio che, in una notte di primavera, ha preso a scorrere sotto le loro case. Dal piccolo rio Pianego l’onda nera arrivò al Polcevera e si fermò nel bacino portuale grazie al lavoro incessante di vigili del fuoco, capitaneria di porto e tecnici specializzati. Era il 17 aprile 2016.

Cosa è cambiato 365 giorni dopo? “Poco – dice Stefano Rivolta, vice presidente del comitato spontaneo Borzoli-Fegino – è finita la fase di messa in sicurezza e sappiamo che non potrà uscire altro greggio. Ma tutto il resto è ancora da fare. Tra ritardi e ricorsi bisogna ancora capire quanto petrolio c’è là sotto”. Dal tubo dell’oleodotto Iplom, che da Multedo giunge alla raffineria di Busalla attraverso la Valpolcevera, uscirono 600 mila litri di idrocarburi. Il più è stato rimosso, ma una parte è stata assorbita dal terreno. Un disastro per l’ecosistema e un calvario per il quartiere, fiaccato da decenni di lotte con le servitù industriali e sprovvisto di un piano d’emergenza per fronteggiare situazioni simili.

Ci siamo visti catapultare in un mondo di burocrazia, interessi economici contrapposti ma comunque opposti al nostro diritto alla salute e sicurezza, difficoltà ad avere momenti di vera partecipazione, in cui le nostre richieste venissero ascoltate ed accolte – si sfogano i cittadini in una lettera aperta – Per mesi a contatto con le esalazioni degli idrocarburi, che vediamo riaffiorare ad ogni pioggia, con la preoccupazione per i danni che, nel tempo, potremmo dover contare per essere stati esposti a tali esalazioni”.

Dopo un anno di manifestazioni, presidi, tavoli e incontri, la bonifica è ancora un miraggio. Si attende il cosiddetto piano di caratterizzazione per poterla fare. Il procedimento è tutto in mano al Comune, come chiarito anche dal Governo dopo che Iplom, a dicembre, aveva tentato di dirottare la pratica al ministero dell’ambiente. “Le persone ora sono stanche – confessa Rivolta – il sentimento maggiore è la voglia di essere smentiti. Se è vero che di petrolio ce n’è poco, noi siamo i primi a sperare che si possa anche attendere 20 anni per fare la bonifica. Ma si tenga presente che in quei 700 metri di terreno ci vivono delle persone”.

È stata aperta la conferenza dei servizi
, ma – scrivono gli abitanti – “non abbiamo ancora avuto relazioni ed i tempi continuano ad allungarsi e aumenta la preoccupazione. Avremmo pensato che le persone dovessero venire prima dell’appellarsi al rispetto delle normative e ai limiti di legge, prima di numeri e tabelle, perché nessuno dovrebbe essere costretto a subire percentuali di rischio per la propria salute, sicurezza, per la tutela del territorio, a vantaggio del profitto di pochi. Noi però continueremo a lottare”.