Manuela Marinelli è una dei tanti sfollati di Ponte Morandi. Ieri è potuta rientrare in casa a recuperare i beni lasciati all'interno quel 14 agosto quando fu costretta insieme a genitori e vicini ad abbandonare la propria abitazione in fretta e furia. Manuela ha affidato a un post su Facebook l'emozione, i sentimenti, le paure e le sensazioni vissute durante le due ore trascorse in casa.
Questo il suo post:
E alla fine è successo. Dopo 65 giorni, che sono sembrati un'eternità, oggi ho varcato di nuovo la porta della casa dove sono cresciuta. L'attesa della giornata è stata a dir poco snervante, ero a scuola con i miei amati bimbi - che manco farlo apposta oggi mi hanno disegnato" il Pontemorandiquellocheèvenutogiù"- ma la mia testa era già là.
Corro, forse anticipano l'entrata, ho il cuore in gola, aspetta che penso a cosa prendere, dove è mia mamma? Mi tolgo il maglione e gli occhiali da sole, devo esser comoda, devo esser rapida, niente intralci. Arrivo finalmente al Presidio, che ormai è diventato una seconda casa...molti volti noti, altri meno, ci son tanti giornalisti, Esercito, Protezione Civile e ovviamente i nostri amati Vigili del Fuoco.
Avvisto i miei genitori, prendo le valigie che ci siamo portati e mi dirigo verso mia mamma, che sfoggia la giacchetta gialla della Protezione Civile, forse consegnata ad Honorem causa, chissà.Ci siamo: pochi minuti e si entra. Indossiamo i caschetti gialli. Un abbraccio forte ai vicini di casa prima di entrare, senza parole, solo profondi sguardi.
Il viale alberato, quante foglie cadute per terra.... il vento soffia forte sulle nostre facce, gli occhi iniziano a diventar lucidi ma non si può cedere, non ancora. E poi eccola lì, in tutta la sua bellezza. Sì, perchè per me la mia casa era bellissima. Stringo i denti in un morso di dolore e rabbia. Varchiamo il portone e penso per un attimo a quando insieme alla mia mamma lo decoravo per il Natale.
Meglio non pensare al Natale adesso, è troppo doloroso. Le piante del palazzo non hanno resistito alla siccità di questi due mesi, nessuno si è più preso cura di loro.
Civico 16, secondo piano, interno 6. La casa dove sono cresciuta, dove adesso abita(va)no i miei genitori. E' difficile spiegare cosa si provi in quei momenti.
Sai che devi esser lucida, fredda, pronta a prendere più roba possibile che non si sa mai. Ma non puoi far tutto questo senza prima fermarti un attimo, guardarti intorno e realizzare....e la lacrima allora si che scende, e chissenefrega se mi vedono piangere, l'emozione è troppo forte.
I Vigili sono come sempre gentilissimi, ci aiutano con i gesti e soprattutto con le parole, perchè di quelle ce n'è bisogno...una chiacchiera, un conforto, un confronto e magari anche un sorriso, per stemperare la tensione.
Accompagno mia mamma stanza per stanza, controlliamo tutto, "prendi i vestiti e i documenti, hanno la precedenza", le foto, alcuni quadri, le ceneri di mio nonno, il servizio della nonna. La copertina del mio gatto. Prendi tutto quello che serve e se riesci anche di più.
L'adrenalina è subentrata alla tristezza, ora preparo scatole su scatole, imbusto roba a caso, fascio le tazze, salgo sulla scala per prendere alcuni libri, scendo, controllo mia mamma cosa fa e come sta, riprendo freneticamente a recuperare ricordi, oggetti, pezzi di vita. Le mie coppe di ginnastica artistica, alcuni miei libri e tante mie cianfrusaglie, per ora le lascio qui. Ci sono cose più importanti, ci saranno forse altri rientri altrimenti pazienza, in un certo senso mi piace l'idea che un pezzetto della mia rimanga lì in quella casa..
Le tende belle comprate in Toscana però le prendo, prendiamo il videoregistratore, dei cd, un sacco di reperti tecnologici di mio papà e tante altre cose.
Il tempo intanto scorre,controllo l'orologio. Esco nel terrazzo per controllare l'armadietto e lì - solo in quel momento- il cuore si ferma. Quel pezzo di ponte che non c'è più è una ferita troppo grande da accettare, ci si rende conto di quanto fosse davvero vicino alle case, di come adesso manchi qualcosa, qualcosa di familiare, che è stato attento osservatore della mia, nostra vita. Penso alle vittime. E penso a quanto tutto questo sia profondamente ingiusto.
I minuti intanto passano, 120 minuti e un'infinità di roba da prendere.
Rientro in casa, la guardo: tutto nuovo, ristrutturato da pochi mesi, le piastrelle scelte in un sabato di pioggia, la camera nuova, il mobiletto dell'ingresso, i complimenti dei Vigili per come è bella e accogliente. Siamo quasi alla fine del tempo stabilito, prendo mia mamma per mano, le faccio fare con calma il giro delle stanze.
"Hai preso tutto quello che ti serve? Controlliamo bene i cassetti, questo non è importante lasciamolo qui, questo invece è un ricordo, portalo via."
Un passo veloce in cantina, c'è la borsa da calcio del mio papà, dobbiamo recuperare anche quella, anche quella ha la sua importanza.
E poi le bottiglie d olio e vino toscano, qualche diapositiva, altra roba invernale.
Ma basta così. C'è ovviamente ancora tantissima roba da prendere, ma pazienza. Torneremo... Forse. Chiudiamo il portone del palazzo, sperando inconsciamente che non sia l'ultima volta che faremo quel gesto così consueto.
Ci siamo portate via tanta roba, ma tante altre cose non potremo portarcele con noi, se non nei nostri ricordi. E' questa la parte più difficile da accettare.
Le mani tremano. L'adrenalina scende. E sale la malinconia. Ciao casetta, avrai sempre -per sempre - un posto speciale nel mio cuore.
cronaca
"Esco nel terrazzo e..." il racconto di chi è rientrato in casa per due ore
"Ciao casetta, avrai per sempre un posto speciale nel mio cuore"
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