Un mese fa avevo lanciato un grido di dolore, un vero grido, per la chiusura di Moody, il bar centrale di Genova, spento in un quartiere di Piccapietra che sta spegnendo da tempo le sue luci, una a una inesorabilmente. Travolto dal crak, pieno di tanti interrogativi, del gruppo Fogliani, quel locale, una volta il celebre “Motta” degli anni del boom, ha lasciato a casa più di 40 dipendenti, gli ultimi del crollo di un gruppo ambizioso, che occupava più di mille dipendenti. Uno sfacelo inspiegabile per la sua rapidità, se non con qualche verità segreta che invece andrebbe scoperta.
Un mese dopo le luci restano spente, il Moody sta con le sue vetrate “cieche”, i tavolini allineati, il menù ancora esposti,i banchi desolatamente vuoti. Non succede nulla, come non capita nulla per la Rinascente, che fronteggia con il suo buio e il suo silenzio, calato dalla fine di ottobre in questo nuovo cimitero genovese in pieno centro.
Si sentono solo voci e indiscrezioni di possibili interessi, in particolare di chi vorrebbe acquisire il marchio della “Pasticceria Svizzera”, cui faceva capo anche il bar. Ma là dentro non si accende neppure una candela.
Non mi stupisco troppo. D'altra parte un anno e mezzo fa avevo lanciato sempre qui su “Primo” la denuncia sulle condizioni del nostro amato stadio “Luigi Ferraris”, definendolo “un cesso” per le indegne condizioni dei suoi servizi, delle sue pertinenze. Ci sono stati tanti discorsi, tante trattative tra il Comune, le due società di calcio del Genoa e della Samp, tanti buoni propositi, anche tanti accordi sulla concessione prorogata, ma lo stadio resta “un cesso”.
Provate a andare in uno dei suoi bagni, che non sia quello della tribuna vip, provate a avvicinarci a un posto di ristoro nei Distinti o in Gradinata, se lo trovate: a parte la gentilezza del personale vi vergognerete dello stato in cui tutto versa. Non cambia nulla nei fatti. Nelle parole e nelle trattative forse, ma chissà.
Oggi il problema a Genova spesso può essere questo: siamo tutti concentrati intorno al destino del ponte crollato, da demolire e rifare, seguiamo con passione e attenzione gli sforzi del sindaco-supercommissario, Marco Bucci e delle sue squadre, crediamo, anche per necessità, all'ottimismo della volontà che spinge a fare, a credere che si farà presto, che dalla più grande sciagura genovese del Dopoguerra ci si solleverà con una svolta positiva.
Ci crediamo e seguiamo con passione e meticolosità, stando vicini a chi ha sofferto e continua a soffrire, come fa giorno per giorno, ora per ora, Primocanale con i suoi servizi e i suoi appuntamenti, dove Genova è sempre “nel cuore”.
Ma intorno cosa succede? Certamente la città non sono solo i buchi neri di Piccapietra, lo stadio ridotto male, come se non fosse il più bel tempio del calcio in Italia, l'Hennebique che aspetta il suo destino, la voragine davanti all' ospedale di san Martino, la ex facoltà di Economia e Commercio in via Bertani, recintata e a pezzi, il lento smontaggio del palazzo Nira, unico segno apparente del nuovo Waterfront di Levante, il destino di Erzelli, in attesa almeno del suo parco verde e del nuovo ospedale, il futuro baricentrico del Galliera, di cui si discute da anni, il centro storico, una volta tema principale del dibattito cittadino, ora un po' dimenticato nel suo calare e risalire di saracinesche......
Si potrebbe continuare, mettendo in conto anche le risposte immediate del sindaco e dei suoi assessori, le puntualizzazioni, i segnali positivi della città per nulla arresa, per nulla in ginocchio, anzi rilanciata dal turismo che cresce, da tanti progetti in cantiere, da quelli grandi, come la via della Seta e la grande diga portuale o la demolizione della Diga di Begato a quelli minimi in ogni quartiere, anche nelle periferie più sperdute.
cronaca
Il buco di Piccapietra e la città intorno al ponte
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