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Il 15 marzo scorso i giovani sono scesi in piazza chiedendo che la politica cominciasse ad occuparsi seriamente di riscaldamento globale, cambiamenti climatici ed effetti sull’ambiente. C’è un sentimento diffuso, strisciante, di preoccupazione.

E’ vero, da decenni si parla di sviluppo sostenibile, di necessità di modificare le abitudini della persone, rispettando il pianeta. Da quelle sulle emissioni inquinanti ai consumi, migliaia di studi avevano evidenziato come l’uomo avesse bisogno di invertire la rotta. In questo senso il movimento che ha vissuto quella giornata di grande visibilità con li climate strike non è qualcosa di nuovo. Ma la novità è nella consapevolezza diffusa che quanto sostengono quei ragazzi è una cosa giusta.

Diciamo la verità, fino a qualche anno fa le proteste e le manifestazioni in difesa del pianeta spesso erano percepite come battaglie di fanatici ambientalisti, gli scienziati che proclamavano scenari disastrosi erano visti come illuminati a caccia di notorietà, i comitati giudicati come rompiscatole che difendevano il loro orticello, gli studenti in piazza volevano ‘marinare’ la scuola con il benestare dei professori. Tutti luoghi comuni che forse, in parte, contenevano e contengono ancora adesso un briciolo di verità. Ma non è questo il punto.

Oggi di fronte alle iniziative popolari in difesa dell’ambiente l’occhio del popolo assume un atteggiamento diverso, meno sospettoso. Quello che prima non si vedeva, ora sembra essere sotto gli occhi di tutti. Non è più l’astratto buco dell’ozono a fare paura, ma le sempre più frequenti alluvioni e le mareggiate devastanti. In inverno si lasciano ai piani alti degli armadi i giacconi più pesanti, si va a sciare e non si trova più la neve (quella vera). Osservando le conseguenze di quello che dicevano professoroni ed esaltati, si comincia ad avere un timore reale.

Quello che occorre è che ognuno di noi – insieme alla consapevolezza – investa sulle abitudini e partecipi alle scelte. La Liguria, forse per caso, è una regione che più di altre si è accorta dei cambiamenti del clima. E al tempo stesso Genova è una città che più di altre ha costruito se stessa, tra mille contraddizioni, scegliendo per decenni il lavoro sicuro in alternativa al vivere in un ambiente salubre. Il porto, le industrie, i traffici, il petrolio. Ci sono decine di temi non risolti, mai affrontati veramente.

Per questo ci assumiamo l’onere e l’onore di rilanciare il dibattito che l’editore di Primocanale Maurizio Rossi ha avviato due anni fa con i confronti pubblici sul rapporto tra città e porti. Questo lunedì 15 aprile il dibattito si riapre sempre a Terrazza Colombo con tutti gli attori protagonisti, dai comitati ai massimi rappresentanti delle istituzioni genovesi e liguri.

Le decisioni su insediamenti produttivi, servitù, collegamenti infrastrutturali e sotterranei, traffici e depositi, non possono più essere discusse solo nelle stanze dei potenti. Il confronto deve essere il più possibile aperto, partecipato e trasparente. E anche equilibrato. La difesa del lavoro, della produttività e anche degli interessi nazionali non può essere dimenticata. Semplicemente questi non devono essere più gli unici valori di riferimento per chi assume scelte e decisioni che possono avere un impatto pesante sulla vita dei cittadini.