Sul salvataggio di Banca Carige, il primo istituto di credito ligure, ormai da anni in ambasce, nessuno sta chiamando le cose con il loro nome. È il caso di cominciare a farlo, in vista della delicatissima assemblea del 20 settembre, chiamata ad approvare o respingere un aumento di capitale complessivo per 900 milioni di euro.
Dunque, primo rebus: la Malacalza Investimenti, primo socio di Carige con una quota del 27,7 per cento, voterà a favore del piano di salvataggio? Oppure si asterrà, che è come se dicesse di no, facendo saltare il banco? È già accaduto e potrebbe ripetersi. Per questa ragione lo stesso governatore ligure Giovanni Toti pochi giorni fa se n'è uscito così: "Ormai il tempo è finito, tutti devono avere senso di responsabilità".
Lui è solo l'ultimo a chiedere alla Malacalza Investimenti, di Vittorio Malacalza e figli, un gesto di generosità. Tutti omettono di spiegare, però, che sarebbe un gesto costoso, più o meno del valore di oltre 400 milioni. Tanto infatti è il denaro che la famiglia di imprenditori ha speso per quel 27 e passa per cento di Carige, fra acquisto dei titoli e successive ricapitalizzazioni. Con il piano di salvataggio messo a punto dai commissari e già benedetto dalla Bce, anche se la Commissione UE chiede lumi per verificare se non si configuri un aiuto di Stato, ai Malacalza si chiede di approvare, o quantomeno di non ostacolare, il progetto che gli sfila il controllo della banca e ne ridurrebbe la quota di proprietà, nel migliore dei casi, al 5 per cento. Per la serie: fatemi del male e vi ringrazio pure.
Sia chiaro, se si è arrivati a questo punto Malacalza ha le sue belle responsabilità. Salutato come il salvatore della patria bancaria ligure, quando rilevò la maggioranza da Fondazione Carige, l'imprenditore genovese ha divorato amministratori delegati e consiglieri come se fossero noccioline, ha incrociato le lame con la Bce anche quando sarebbe servita di più una certa prudenza, e insomma ha così partecipato al declino dei conti dell'istituto. È il tipico uomo che si è fatto da solo, Malacalza, con alle spalle una storia di assoluto valore. Ma questa sua forza, cioè l'abitudine a comandare e decidere per il meglio, in Carige si è rivelata una debolezza, perché una banca non è un'impresa come le altre, dovendo gestire il denaro delle persone e a volte (Carige è tesoreria di molti Comuni) anche quello pubblico.
Che la famiglia Malacalza abbia dei dubbi ad approvare il piano messo a punto di commissari, insieme con il Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fitd) e la partecipazione di Cassa centrale banca, è dunque comprensibile. Nelle ultime ore gira voce che Malacalza Investimenti potrebbe anche non partecipare all'assemblea, permettendo comunque di approvare il piano se, come stabilisce la regola, all'assemblea sarà presente almeno il 20 per cento del capitale. Un asse fra gli azionisti Volpi (9%), Mincione (7%) e Spinelli (1%) garantirebbe questa possibilità, sommando il restante 3 per cento grazie ai piccoli azionisti.
I Malacalza tacciono, almeno per ora, e dunque si vedrà. L'impressione, peraltro, è che tutta questa operazione abbia il retrogusto di un grande rinvio. Cassa centrale banca avrà due anni di tempo per acquisire le quote dal Fitd e diventare il primo azionista di Carige, come socio di mestiere, e questo vuol dire che non c'è alcuna certezza che ciò accada.
La ragione? Cassa centrale nasce dalla riforma delle banche cooperative ed è uno dei soggetti che controlla quel titolo istituti. Quando ha deciso di muoversi su Carige le polemiche non sono mancate e ciò per un motivo principalmente, secondo i critici: trasferendo una grande quantità di denaro fuori dal sistema cooperativo, Cassa centrale banca si accinge a cambiare natura, diventando un soggetto puramente lucrativo. Attenzione, la questione non è assolutamente marginale e getta ombre lunghe di incertezza anche forte sul futuro di Carige. Anche politicamente l'argomento è delicatissimo.
Sentite un po': "La recente operazione di Cassa centrale banca su Carige, con un esborso di 165 milioni fra capitale sottoscritto e acquisto del bond subordinato, conferma che le preoccupazioni che ho sempre sollevato in merito alla riforma del credito cooperativo si stanno materializzando". Queste parole le ha pronunciate, appena un mese fa, non uno qualsiasi, ma Riccardo Fraccaro, allora ministro per i Rapporti con il Parlamento e adesso freschissimo Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio del governo Conte-bis.
Inutile aggiungere altro, perché il secondo rebus è bell'e confezionato e Carige è di fronte ad uno dei momenti più drammatici della sua storia con il carniere pieno di incognite: che cosa farà il primo azionista Malacalza; quale sarà il futuro che oggi viene scritto con le banche cooperative ma poi chissà; quale sarà l'atteggiamento del nuovo governo su tutto il dossier, posto che la riforma del credito cooperativo la volle il Pd di Matteo Renzi e che il Movimento 5 Stelle si accingeva, prima della crisi e insieme con la Lega, ad una controriforma. Probabilmente oltre il 20 settembre ci sarà ancora vita, per Banca Carige, ma di questo passo non sarà una vita meno amara.
economia
Carige con un doppio rebus: Malacalza e banche cooperative
In vista della delicatissima assemblea del 20 settembre
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