Il presidente del Genoa Enrico Preziosi, nel corso delle indagini sulle estorsioni fatte dai tifosi, "ha tenuto un comportamento complessivamente reticente che non giova di certo alla trasparenza della sua pur formale posizione di vittima degli atteggiamenti palesemente minatori ai suoi danni". E' quanto scrive il Tribunale del Riesame nelle motivazioni con cui ieri ha accolto la richiesta di arresto per tre degli otto ultras indagati nell'inchiesta sulle estorsioni al club in cambio della "pace del tifo". Per i magistrati devono andare in carcere lo storico leader della Brigata Speloncia Massimo Leopizzi, il suo braccio destro Artur Marashi e Fabrizio Fileni, altro storico ultrà rossoblu.
"Preziosi - scrivono i giudici - è a conoscenza dell'intimidazione al giocatore Armando Izzo (da parte di un gruppo di tifosi che lo costringe a uscire dal ristorante dove sta cenando, ndr) e non ha denunciato l'episodio alle autorità ma ha ritenuto di sfogarsi con l'allora presidente dell'associazione club genoani Davide Traverso: un altro riscontro di quella sorta di 'terra di nessuno' in cui una fetta della società civile mostra di ritenersi legittimata a operare per il solo fatto di avere a che fare con il calcio e il tifo".
I giudici ricordano come il presidente, sentito su quell'episodio abbia invece risposto di "non saperne nulla". Era comunque tutta la società in "una sorta di spontanea sudditanza psicologica nei confronti di Leopizzi da parte della dirigenza del Genoa. Il club è pesantemente condizionato anche nelle proprie decisioni di marketing, di gestione dei propri interessi economici". Leopizzi è tenuto "in grande considerazione dalla dirigenza genoana nella consapevolezza che questi, se non assecondato potrebbe essere in grado di "scatenare" la tifoseria organizzata come una cane'a per commettere plateali azioni pregiudizievoli a danno della società".
Massimo Leopizzi "non e' un cuor di leone" perche' si fa scortare allo stadio dagli uomini di Marashi, ma e' il capo di una "masnada di facinorosi" con "un delirio di onnipotenza". E' quanto scrive il tribunale del Riesame nelle motivazioni con cui ha accolto la richiesta di arresto per tre degli otto ultras indagati, a vario titolo, nell'inchiesta sulle estorsioni al Genoa, di associazione a delinquere, estorsione, violenza privata e intestazione fittizia di beni.
"Se Leopizzi - scrivono i giudici - non avesse mirato a conquistare la supremazia su una cerchia ben definita e delimitata di soggetti si potrebbe addirittura parlare di metodi mafiosi e di assoggettamento omertoso viste le reazioni intimorite di chiunque abbia avuto a che fare con il gruppo di Leopizzi". Metodi quasi mafiosi che portano la societa' a pagare una sorta di "pizzo" versato dalla dirigenza genoana "in forza della costante intimidazione creata nell'ambiente durante anni di duro lavoro ai fianchi della societa'".
E' lui anche che decide quali "sanzioni" irrogare ai calciatori che secondo lui non hanno fatto abbastanza in campo. Significativa e' la conversazione tra lui e Zarbano in cui Leopizzi fa anticipare il ritiro della squadra anche se non riesce a fare partire tutti alle cinque del mattino "come punizione". Dalle carte del Riesame si evince che le campagne denigratorie di Massimo Leopizzi e i suoi sodali non erano indirizzate solo contro il Genoa e il presidente Enrico Preziosi. Il leader degli ultra' aveva preso di mira anche i giornalisti che "osavano" non sposare la sua linea. Nel 2017 arriva anche a sferrare un pugno a un cronista dell'emittente televisiva Telenord descritto come un "cane portato al guinzaglio dal presidente".
Il giorno dopo l'aggressione Leopizzi chiama un altro storico leader della tifoseria, Roberto Scotto, e gli dice di non avere potuto fare a meno di colpirlo e aggiunge: "Bisogna educarne uno per educarne 100". Una frase "sintomatica dei motivi 'pedagogici' - scrivono i giudici - che avevano spinto Leopizzi a colpire il cronista al fine di condizionare il comportamento di altri giornalisti.
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Estorsioni al Genoa, il Riesame: "Patron Preziosi reticente nelle indagini"
Il presidente del Genoa non aveva denunciato l'episodio alle autorità
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