politica

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Toti ha vinto, viva Toti. Secondo l'antico e veritiero adagio per cui in Italia uno degli esercizi preferiti è salire sul carro del vincitore, oggi in Liguria assistiamo esattamente a questo. Non so se sia per il successo del governatore tout court o se sia per le dimensioni di questo successo, certamente andato ogni ragionevole previsione. Ci si arrovella a domandarsi: è avvenuto per merito del centrodestra o perché il centrosinistra ci ha messo tanto del suo, partendo in ritardo, sbagliando il candidato e cercando una fusione rivelatasi a freddo fra Pd e M5S?

Probabilmente sono tutte queste cose messe insieme ad aver prodotto il risultato ligure. Compresa una certa tendenza nazionale a favorire il cosiddetto partito dei governatori. Toti non è il solo. Zaia in Veneto, Giani in Toscana, Emiliano in Puglia, De Luca in Campania hanno prevalso nel solco di Bonaccini in Emilia, cioè all'insegna dell'uomo solo al comando capace di rispondere di più e meglio alle richieste dei rispettivi elettorati.

Solo tre di essi, però, hanno velleità nazionali: Bonaccini, Zaia e Toti. Il primo sta nel centrosinistra, con le difficoltà connesse. Il secondo nel centrodestra, con il compito primario, però, di dare eventualmente la scalata alla Lega di un Matteo Salvini uscito malconcio dalle urne. Toti, anch'egli di centrodestra, ma soprattutto di centro, si dice che abbia il problema di non possedere partito, nonostante lo straripante successo ligure di Cambiamo!.

Vero. Ma per questo ha meno energie da bruciare in una scalata interna e può guardare direttamente alla coalizione. Difatti in una intervista al Corsera proprio di ciò tratta: della incapacità di Salvini a gestire l'intero centrodestra e del fatto che i leghisti in Liguria abbiano messo i musi lunghi per la vittoria di Toti e del suo Cambiamo! - a fronte di un loro risultato non così lusinghiero - anziché festeggiare per il successo collettivo. Nelle dinamiche del post-voto, è del tutto prevedibile che il vecchio-nuovo governatore ligure si muova in tal modo. Ma accetti tre consigli non richiesti.

Primo: molti dei suoi assessori hanno ottenuto un grande successo perché i voti se li sono guadagnati sul campo, interpretando bene le loro deleghe (Marco Scajola e Ilaria Cavo sono gli esempi più eclatanti). Quando varerà la nuova giunta, ne tenga conto e li muova il meno possibile. Anzi, non li muova affatto: squadra che vince non si tocca dicono i calciofili. E la cosa vale anche nel resto delle attività umane.

Secondo: la vera grana sarà affidare la Sanità, che ha bruciato la leghista Sonia Viale. C'è chi pensa sia stato per la gestione della pandemia in Liguria. Improbabile. Semmai, il Covid ne aveva favorito la visibilità. No, a travolgere la Viale è stata la manifesta incapacità di incidere sui problemi strutturali della sanità ligure, in primis le lunghe liste di attesa, e una tendenza esasperata a favorire l'intervento del privato. Toti, allora, scelga un assessore che sappia davvero mettere mano alle criticità del settore e che sia attento soprattutto alla sanità pubblica.

Terzo consiglio non richiesto. Al Corsera Toti in fondo ha dichiarato delle ovvietà, ma si tratta di cose che in pubblico - lui fa il giornalista e quindi lo sa benissimo - non vanno spiattellate. Segua quella linea, ma con l'accortezza di garantire ai leghisti (e pure a Fratelli d'Italia) carezze e non schiaffoni (sebbene sovente meritati). È un tatticismo da prima repubblica, si potrebbe obiettare. Ma è anche realpolitik, se davvero Toti aspira ad avere un ruolo nazionale pur partendo dalla piccola Liguria. Non dimentichi, infatti, che la saggezza italiana ha partorito un altro detto: dagli amici mi guardi Iddio, che dai nemici mi guardo io. Appunto.