salute e medicina

Ci sono fattori 'nascosti' nel Dna
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Alcune persone avrebbero più probabilità di contrarre l’infezione da Sars-CoV-2. Tutto dipenderebbe dalla presenza di specifiche varianti genetiche che porterebbero a una evoluzione clinica più critica in caso di positività al covid. Secondo uno studio della Rete trapianti del Servizio sanitario nazionale pubblicato sulla rivista scientifica Transplantation, in presenza di determinati antigeni HLA, un individuo sarebbe più o meno predisposto all’infezione.


La ricerca, capitanata dal professor Antonio Amoroso, medico genetista dell’Università di Torino, ha permesso di analizzare nel dettaglio il ruolo giocato nell’infezione da alcune caratteristiche del sistema immunitario come gli antigeni HLA (proteina riconosciuta dal sistema immunitario come potenzialmente pericolosa) e il gruppo sanguigno. Lo studio è stato condotto su 256 casi di covid positivi tra i pazienti italiani trapiantati e da trapiantare, isolati da oltre 58mila profili genetici presenti nel registro dei pazienti con un trapianto d’organo funzionante.


Come si legge nell’articolo di Transplantation, la presenza della variante HLA-DRB1*08 nei soggetti analizzati è associata sia ai casi di positività, che ai decessi per covid-19. Perciò i soggetti con questa variazione genetica, che rappresentano il 6% della popolazione italiana e più frequente nel Nord Italia (9%), rischiano che il proprio sistema immunitario non riconosca il virus, con tutte le complicazioni che ne conseguono. Non solo, perché alche il gruppo sanguigno giocherebbe un ruolo importante nella lotta al Covid-19: i soggetti con gruppo sanguigno A presentano un rischio di infezione lievemente maggiore rispetto alle persone con gruppo 0.


La ricerca realizzata grazie al Centro nazionale trapianti ha aggiunto un nuovo tassello a tutti quei fattori – già noti - che posso incidere sulla gravità delle manifestazioni del coronavirus quali comorbilità, sesso maschile, età avanzata, patologie oncologiche, obesità. Un contributo importante alla lotta contro la pandemia, perché aiuta a identificare le persone a maggior rischio, in quanto dotate di armi immunologiche meno efficaci.


Ogni scoperta medico-scientifica è importante per il controllo della diffusione della malattia e per la sua gestione ospedaliera, ma si potrà guardare al futuro solo in presenza di un vaccino considerato efficace almeno al 90%.