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Ecco la sua visione d'entroterra.
"Prima fu la rivoluzione industriale a svuotare le campagne. Poi, più recentemente, nel 1993, con Visco, Tremonti, Formica decisero di obbligare i piccolissimi negozi a mettere un registratore fiscale. Inizialmente, era dovere solo per chi faceva fatturati importanti. Quella svolta, invece, impose investimenti da un milione e mezzo di vecchie lire fino a quattro per piccole famiglie che, storicamente, in un borgo con 20 o 30 nuclei svolgevano un ruolo di servizio sociale guadagnando, forse, quattro milioni in dodici mesi. Conseguenza ovvia, chiusura.
Nelle stagioni 1985-86, almeno nel nostro entroterra, le saracinesche di alimentari abbassate non si contarono e tutto nel più totale silenzio della politica a prescindere dalle colorazioni. Oggi, i pochi anziani che vivono lassù devono confidare persino nel postino che quando sale porta a loro un po' di pane.
Ma, nonostante situazioni incredibili, i governanti si riempiono la bocca con la parola entroterra assistendo senza fare nulla alla cancellazione dei servizi: uffici postali, bancari, trasporti. E, poi, ti raccontano che la pandemia ha fatto scoprire l'interno. Balle, senza soluzioni per poterci vivere. Fino a quando chi fa fa leggi non capirà che esistono due tipi d'Italia - quella della montagna e quella della città - con regole e tassazioni che devono essere differenti, niente potrà cambiare. Sembra quasi che siano nati tutti in città".
IL COMMENTO
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