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Il commento dell'editorialista di Primocanale Franco Manzitti
3 minuti e 4 secondi di lettura
di Franco Manzitti
Roberto Cassinelli

Non ci erano ingiustamente arrivati due illustri avvocati e professori di Genova, niente meno che Beppe Pericu, di recente ricordato in una bel seminario di Università e architetti, e Fausto Cuocolo, insigne anche come presidente del Consiglio regionale, grande docente di diritto pubblico, anche gambizzato dalle Br. Non erano stati nominati giudici della Corte costituzionale, incarico che avrebbe coronato meritatamente carriere nobili e molte solide sul piano giuridico del sindaco socialista-laburista e del professore democristiano della nobile schiatta tavianea.

E’ stata, invece, giudice costituzionale e perfino per un periodo presidente della Suprema Corte, Fernanda Contri, anche lei di tradizione e impegno socialista, già membro del Csm, ministro e segretaria di palazzo Chigi ai tempi di Giuliano Amato.
E in questo tempo di oggi, nel quale i genovesi fanno fatica ad avere ruoli di spicco nella più alta gerarchia istituzionale, ecco che giudice costituzionale diventa l’avvocato Roberto Cassinelli, che sulla scia di Alfredo Biondi e di una solida generazione liberale nella quale spiccavano anche suo padre Giorgio, Gustavo Gamalero, Durand de la Pen, è diventato un esponente di Forza Italia, parlamentare per tre legislature, figlio d’arte sia nella scuola liberale che nell’impegno civile. Il secondo ligure nella storia a ricoprire questo ruolo, riservato a pochissimi.


E’ un grande riconoscimento per lui, un liberale vero, un politico serio di grande cautela e moderazione, un avvocato di solida formazione.
Ma è un grande onore anche per questa città, che potrà contare su un genovese in uno dei ruoli più delicati delle nostre istituzioni, ben oltre alla politica guerreggiata di questi tempi.
Certamente la carica di giudice costituzionale non può comportare alcun vantaggio per il territorio dal quale l’insignito arriva.
Lassù, nella Suprema Corte, sul colle del Quirinale, di fianco alla presidenza della Repubblica, dove una volte abitavano i papi, si discutono le leggi e si dirimono le controversie sulle regole democratiche, si difendono i principi della Costituzione e la loro applicazione.
E’ un compito alto e difficile, spesso messo in discussione e oggi decisivo nella fase storica in cui tanto si discute, da una parte sulle difficoltà della democrazia e quindi dell’ordinamento democratico e dall'altra, nello stesso tempo, su grandi riforme che possono comportare modificazioni nell’assetto che i nostri padri costituenti hanno costruito nel lontano 1948 con i lavori di una assemblea nella quale sono state piantate le radici del nostro sistema politico- istituzionale.


Basta pensare alle tante discusse riforme sull’Autonomia differenziata, che cambierebbe gli equilibri tra le nostre Regioni e a quella delicatissima del Premierato che muterebbe sostanzialmente l'essenza stessa dei nostri poteri e dei loro contrappesi.
Per non citare i referendum su tante e delicate materie che possono arrivare nell’aula dove siedono i supremi giudici, vestiti delle toghe di ermellino.
Chi ha avuto la fortuna di entrare nel palazzo della Corte, a me è capitato, ha percepito là dentro le stigmate del nostro Stato Repubblicano, la “superiorità” di un ruolo nobile e delicato affidato ai giudici costituzionali, ha misurato bene il valore della Repubblica, come è stata creata, difesa e tramandata.
Oggi che viviamo tempi difficili e di grandi mutamenti negli equilibri politici, di grandi discussioni sulle nostre Istituzioni, tra sovranismi cavalcanti, nostalgie pericolose per sistemi di governo lontani dalle tavole scolpite nella nostra Costituzione, quanto decide la Corte, quanto esamina la Corte, il suo equilibrio la sua saggezza diventano ancora più importanti.
Per questo il fatto di avere lassù un genovese liberale di sicura fede e tradizione, di giusta scienza giuridica ci conforta e _ lo ripetiamo_ ci onora per la grande responsabilità che gli è affidata.

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