La campagna di vaccinazioni in Liguria è un successo evidente sia per i risultati, cioè il numero dei vaccinati, sia per il funzionamento del complicato meccanismo. Un successo che supera anche la difficoltà congenita della nostra regione di essere la più vecchia d’Europa, cioè con un’ altissima percentuale di ultra ottantenni. Il successo ha una sua carta vincente iniziale: il sistema di prenotazione che, nelle mani di Liguria Digitale, ha funzionato e sta funzionando benissimo. Lo dicono tutti: velocità di prenotazione, facilità di accesso.
Sta dando ottimi risultati anche la rete di hub vaccinali a partire da quello maxi, sistemato nel padiglione fieristico, a quello nel grattacielo Msc, ad altri che sono sorti e stanno sorgendo in tutto il territorio. Personalmente ho vissuto l’esperienza vaccinale a San Benigno con assoluta mia soddisfazione e di coloro che erano con me!
Efficienza, poche code, poca attesa, cortesia, assistenza dopo l’inoculazione, adesione di medici su larga scala, con l’esempio di volontariato a opera di “camici bianchi pensionati illustri” che prestano la loro opera nei box, farmacisti, qualificate strutture private. Hanno davvero risposto tutti all’appello lanciato dal presidente Toti nella sua qualità, oltre che di presidente, anche di responsabile della Sanità.
Bene. Perché siamo solo all’inizio di una rivoluzione importante, quella che dall’autunno dovrà cambiare volto alla sanità pubblica territoriale che, fino alla pandemia, aveva avuto come refrain il “taglia taglia più che puoi”, un refrain con l’etichetta collettiva, cioè messo a punto sia da governi di centrosinistra, sia di centrodestra. La sanità italiana, magnifica come principi perché davvero universale, era stata vittima di sprechi, spese folli, anche scandali, che avevano determinato la corsa al risparmio e di conseguenza l’azzeramento di strutture che avrebbero potuto funzionare molto bene se riformate o restaurate.
Ora bisogna correre ai ripari e alcune indicazioni le ho lette in una bella intervista sul “Manifesto” del cinquantenario al padre della farmacologia italiana, il professor Silvio Garattini, fondatore dell’Istituto Mario Negri, autore di un libro da leggere e da poco in libreria “Il futuro della nostra salute. Il servizio sanitario nazionale che dobbiamo sognare”, San Paolo Edizioni.
Ne riprendo alcuni punti.
Alla base c’è la prevenzione che spesso, spiega Garattini “è in conflitto di interesse con il grande mercato della medicina” perché se sparissero alcune malattie croniche “che dipendono dallo stile di vita, il mercato dei farmaci diminuirebbe del 50 per cento”. Poi si passa al tema più locale, cioè la riforma radicale della sanità territoriale. L’ipotesi è la realizzazione delle “case della comunità” e degli “ospedali di comunità”.
“Non è più pensabile – risponde Garattini al “Manifesto” – che un solo medico possa occuparsi di tutto ciò che serve al malato”. Le “case della comunità” sarebbero delle mini-strutture con 6/8 medici che tengono aperto l’ambulatorio di quartiere 7 giorni su 7. Ambulatorio che dovrebbe essere fornito anche di alcune apparecchiature diagnostiche di base. Il tutto governato da un sistema di telemedicina che serve a non fa muovere inutilmente i pazienti dalla loro casa quando non è necessario. Questi ambulatori efficienti dovrebbero evitare gli afflussi non indispensabili negli ospedali e quindi, l’assalto ai pronto soccorso.
Garattini aggiunge una questione molto delicata, il ruolo dei medici di medicina generale. “Occorre che i medici di medicina generale siano dipendenti del servizio sanitario nazionale, non liberi professionisti. E anche la pratica dell’intramoenia deve finire” . Se qualcuno ricorda ancora le polemiche che ci furono all’epoca dell’introduzione dell’intramoenia, cioè il medico ospedaliero che può fare, dentro l’ospedale, anche visite private, si capisce che questo è un argomento scivoloso.
La conclusione dell’intervista e anche del libro di Garattini è che ci vuole un’ attività di ricerca indipendente che si occupi soprattutto di temi che non rientrano tra le priorità (per ragioni economiche) dell’industria, per fornire ai pazienti il servizio migliore. Viste le buone premesse organizzative di cui parlavo all’inizio, c’è da sperare che la sanità ligure possa davvero muoversi in questo senso, almeno per quei temi che sono di competenza regionale.
Cioè che il “sogno” raccontato da Garattini nel suo libro si trasformi rapidamente in realtà. Bisogna fare presto anche perché una rinnovata sanità territoriale potrebbe servire in questa fase della pandemia, quando, chiusa la prima serie di vaccinazioni si dovrà ragionare sul replay a quanto pare, indispensabile, forse fra nove, dieci mesi.
salute e medicina
Vaccinazioni, la macchina funziona. Ora la Liguria prepari la sanità territoriale
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