Succede spesso nella storia che a fare davvero le rivoluzioni siano persone apparentemente miti e compassate. Senza scomodare grandi eversori nascosti in vite minime come quelle di Gadda, Fellini, Lucien Freud, Bobby Fischer, Turing e Pessoa, ci basta oggi Roberto Cingolani.
Un riservato professore di fisica, genovese per lavoro ed elezione; salutato, al momento della chiamata al governo Draghi, come l'alfiere della nuova stagione verde, nel segno di quell'ambientalismo radicale simboleggiato da una ragazza nordica che del marinare la scuola ha fatto un fortunato mestiere, rappresentando ai cuori semplici un mondo bello, anzi bellissimo, ma purtroppo impossibile.
Esistono due visioni del mondo. Una si prefigge di raggiungere la società perfetta, l'altra di rendere la meno peggiore possibile quella esistente. Nel nome della prima filosofia sono state commesse le più cupe atrocità. Era già tutto previsto: "Noi che volevamo la gentilezza non potemmo essere gentili". La seconda promette meno, quasi niente tutto sommato; ma qualcosa mantiene.
Cingolani, forte delle sue comprovate conoscenze scientifiche, ci ha messo poco a passare da idolo a bersaglio. Gli è bastato ricordare una verità elementare: l'energia non è illimitata e la sua produzione ha costi e conseguenze, quale che sia la tecnica adottata. Soprattutto: imporre bruscamente la trasformazione dell'intero sistema dei trasporti nel segno dell'elettrico avrà costi sociali spaventosi ed è tutto da vedere se sarà un'operazione a saldo positivo sotto il profilo stesso dell'ambiente. Lo smaltimento delle batterie, le ricerche minerarie per le "terre rare" necessarie alla costruzione delle medesime e la conseguente deforestazione: fattori trascurati quanto di portata immane.
Massacrato mediaticamente per frasi che sono state presentate come un'apologia del nucleare stile Dottor Stranamore, lo scienziato genovese ha semplicemente riportato tutti alla realtà. L'elettrificazione dei trasporti, infatti, non è la moltiplicazione di pani e pesci: da qualche parte e in qualche modo, infatti, l'energia galvanica per far andare auto moto e treni (sembra il "Cantico" rossoblù di Campodonico, ohibò) e perfino navi e aerei va prodotta. E a produrla, al momento, continueranno precipuamente le esecrate centrali a combustibile fossile: carbone, gas, petrolio. Le alternative al momento sono insufficienti. Andate per esempio in Basilicata, dove i massari se possono abbandonano le case costruite dagli antenati nei territori scempiati dalle pale eoliche, mostruosi giganti che sembrano usciti dagli incubi di Don Chisciotte.
Il nucleare, certo, fa paura. Il 6 agosto 1945 ha stampato nell'inconscio dell'umanità le stesse ombre proiettate sui muri di Nagasaki da "Little Boy", l'ordigno deciso da Truman che liquefece la resistenza giapponese; fattore ansiogeno protratto da Chernobyl fino a Fukushima. Ma come molte paure attinge all'inconscio e all'irragionevole.
Così l'atomo incontra ancora ostilità emotiva, perfino nel Paese dove la potenza dell'infinitamente piccolo venne portata alla luce dai ragazzi di via Panisperna: Fermi, Amaldi, Segré, Rasetti e Pontecorvo, più l'ombra inafferrabile di Majorana. Se c'è qualcosa in cui l'Italia è stata prima nel mondo, nel secolo breve oppure americano, oltre al cinema e al ciclismo è stata la scienza dell'atomo. Ne sappiamo qualcosa qui a Genova, quando il referendum di trentaquattro anni fa cancellò un polo planetario di eccellenza industriale, l'Ansaldo Nucleare, provocando la diaspora internazionale dei suoi chierici. Che andarono a lavorare altrove. Magari contribuendo a costruzione e funzionamento degli impianti atomici francesi, svizzeri, perfino sloveni, che fanno da corona (di spine?) al nostro Paese trionfalmente "denuclearizzato", titolo che tuttora campeggia sulle targhe Anas di accesso a non pochi Comuni.
La "transizione ecologica", ricorda Cingolani, così come configurata dai suoi ideologi radicali, disegna una vita a misura di ricchi e poveri. Ovvero: soltanto ingenti disponibilità economiche di partenza consentiranno di adeguarsi ai nuovi parametri (mezzi di trasporto elettrici, case ergonomiche, produzioni alimentari "sostenibili" e quindi più costose), mentre chi ha un reddito modesto se non basso farà sempre più fatica a stare al passo di questo "nuovo mondo".
Sullo sfondo del chiacchiericcio che dilaga tra i laureati all'"università della vita" o "della strada", quasi sempre senza le competenze di un Cingolani, persistono due tabù indicibili. Uno appunto è il ritorno al nucleare: i cui incidenti, le cui vittime sono impressionanti, ma fanno più rumore dei milioni di persone uccise ogni anno nel pianeta dalle malattie respiratorie indotte dalle polveri sottili e dai gas velenosi rilasciati nell'atmosfera dalle centrali fossili.
Dietro le infantili trecce e il broncio inquietante del simbolo del radicalismo verde, sta la persistente rimozione di un ineludibile dato algebrico: escludendo la pietra filosofale della fusione fredda di Pons-Fleischmann, senza il nucleare non sarà mai possibile pensare di garantire un tenore di vita dignitoso a un genere umano in spaventosa espansione. Già: nel 1800 la Terra era abitata da 1 miliardo di persone, che nel 2060 diventeranno 10 miliardi.
Ecco l'altro tabù. Fino a qualche decennio fa, negli stessi ambienti dove oggi si predica l'abolizione delle frontiere e la riconversione dell'Europa vecchia e stanca a soccorrevole ospedale da campo adibito alla guarigione dei mali e delle ingiustizie universali, si tuonava contro la chiesa cattolica, colpevole di osteggiare i metodi contraccettivi e il controllo delle nascite, per un sospetto fine di costruzione nel Terzo Mondo di una "tifoseria" alternativa e aggiuntiva a quella declinante nel fu Sacro Romano Impero.
Oggi di controllo delle nascite non parla più nessuno. Di nucleare, proprio nel caso della recentissima lapidazione di Cingolani con conseguente parziale abiura galileiana, abbiamo visto cosa succede soltanto a sfiorare l'argomento.
Allora bisognerà pure che qualcun altro, oltre a Cingolani cui va riconosciuto di averci provato, si alzi e salga sul palco, alla fine del cineforum alla Casa del Mutilato, e come Fantozzi (nella foto, a destra, accanto a Cingolani a sinistra) esclami che l'utopia elettrica è come la Corazzata Kotiomkin. A meno che qualcuno non spieghi, al ragioniere di Villaggio che siamo tutti noi, come si faccia a far stare dieci persone in una cabina telefonica, e a farcele stare tutte bene.
politica
La rivoluzione silenziosa del mite professor Cingolani
Il docente di Fisica infrange molti dei tabù dell'utopismo ecologista
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