Politica

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Con la morte di don Gianni Baget Bozzo Genova e l’Italia perdono un personaggio di straordinario vigore intellettuale e un grande testimone del nostro tempo. Da quando nei miei anni giovanili ebbi la fortuna di incontrarlo e di collaborare strettamente come “segretario di redazione” alle sue prime attività editoriali intuii subito del suo grande spirito critico, della sua genialità intellettuale e però della sua incompatibilità con le convenzioni e con il “potere” considerato un’espressione diabolica, della sua profonda fede cattolica.

Recentemente, e sempre più spesso, mi confidava oggi che vedeva declinare molte delle sue ultime illusioni, che il nostro incontro gli aveva cambiato la vita perché lo avevo costretto con le mie esuberanze giovanili a rioccuparsi della cosa pubblica, a scrivere libri e sui giornali, dopo che la politica in prima persona l’aveva abbandonata per farsi prete ordinato dal cardinale Siri, suo perenne maestro di vita dai tempi del liceo D’Oria.

E mi confidava anche, in una sorta di bilancio al tramonto della sua esistenza, che dopo le delusioni prodottegli dalla sua militanza nel “partito cristiano” il suo desiderio profondo sarebbe stato quello di occuparsi solo di teologia e soprattutto della sua parrocchia in Carignano.

Per colpa mia aveva tradito questa vocazione. Ma che sorpresa per me, alla sua ordinazione sacerdotale, la presenza in chiesa di due notissimi leader comunisti genovesi come Gelasio Adamoli e Giorgio Doria: qualche maligno che non lo conosceva bene scrisse in anticipo di “compromesso storico” visto che don Gianni, eravamo nel 1967, era considerato un anticomunista viscerale. Ma non era così. Semplicemente don Baget aveva un grande rispetto per le idee di tutti e soprattutto dell’amicizia.

Mi diceva che mi aveva sempre considerato un fratello, per me era e resterà un grande maestro di anarchia e di libertà.

* Consigliere comunale a Genova di Forza Italia