Sport

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Accolgo volentieri l’invito ad un intervento su quello che può essere definito “l’argomento del giorno”, cioè il cosiddetto “scandalo delle fatture gonfiate nello sport”. Ribadisco, innanzitutto, quanto già sostenuto pubblicamente : la pratica, diffusa, delle “fatturazioni gonfiate” nello sport era ed è nota a tutti gli addetti ai lavori da anni e mi dà fastidio che oggi qualcuno, anche con ruoli istituzionalmente importanti, possa manifestare stupore. Ciò non vuol dire, ci mancherebbe, che tutte le società sportive percorrano questa via però è fuori di dubbio che per molte società, in misure diverse, abbia rappresentato l’unica possibilità di sostegno all’attività, pur nella consapevolezza dell’illecito amministrativo. Ora, i casi all’attenzione dei media ipotizzano che la parte “gonfiata” sarebbe stata utilizzata da certe aziende per ulteriori illeciti nell’ambito della pubblica amministrazione, ma questa è cosa, se appurata, che attiene ai rapporti tra aziende e pubblica amministrazione. E’ fuori di dubbio, comunque, che un giro di vite su questa pratica diffusa porterebbe in tempi rapidi alla scomparsa di un buon numero di attività sportive; inoltre l’effetto mediatico può determinare, a cascata, qualche ripensamento da parte di aziende anche in rapporti di collaborazione pubblicitaria privi di illecito, in quanto è noto che, anche per chi potrebbe dormire sonni tranquilli, la “lente d’ingrandimento” delle Fiamme Gialle qualche turbamento lo dà… E’ un rischio che il mondo dello sport, che a mio modesto avviso è il più grande social network (reale) esistente, non può permettersi.
E non farei distinzione tra chi svolge anche attività agonistica e chi non la fa, perché in questo social network l’attività agonistica (ovviamente quella che rispetta le regole dello sport) , con il pathos dato dalle competizioni, ad ogni livello, e dall’impatto mediatico che ne deriva, fa da traino , sano, alla pratica sportiva quotidiana.
La finanziaria 2005 (se non ricordo male) ha introdotto alcune novità riguardanti le ASD (Associazioni Sportive Dilettantistiche) che da un lato tendono a favorire le collaborazioni pubblicitarie da parte delle aziende (detrazione totale, con un beneficio fiscale variabile in funzione dell’aliquota marginale ma comunque in linea di massima non inferiore ad un 33%) e dall’altro consentono alle ASD , fino a 250.000 euro di imponibile, di optare per la contabilità semplificata (assenza quindi di prima nota e bilancio, sostituito da un rendiconto annuale) con una tassazione sul 3% dell’imponibile stesso e versamento parziale dell’iva.
Se questo può favorire i contratti pubblicitari importanti (quelli che determinano un beneficio d’immagine alle aziende in funzione della visibilità di un determinato sport o dell’attività di una determinata società), abbattendo i costi di quello che comunque sarebbe stato un onere previsto a bilancio di quell’azienda (che sceglie, nel caso, di promuovere la propria immagine attraverso lo sport anziché attraverso altri strumenti, comunque non gratuiti) ben diverso è il caso, numericamente molto più corposo, delle società con attività “poco visibile” ma non per questo dai costi contenuti.
In questo caso l’azienda che accoglie il “grido di dolore” della società sportiva ben difficilmente ha un ritorno dall’investimento richiesto, pur in presenza dei benefici fiscali già citati. L’intervento “pubblicitario” rappresenta quindi, in questi casi (la maggioranza) un costo e, non a caso, lo si percorre quasi unicamente se c’è la molla della passione personale dell’imprenditore, o il coinvolgimento personale (il figlio o la figlia tesserati per quella società, ecc) più simili quindi a forme di mecenatismo che non a “sinergie” azienda/sport. E si possono generare quindi situazioni in cui l’intervento dell’azienda può essere “giustificato” solo dal meccanismo in questione, illecito sicuramente ma vitale per molte realtà sportive che alimentano, come le altre, il social network di cui sopra.
Che fare, quindi?
Non è facile dare una risposta e ritengo, al momento , pura utopia pensare all’intervento “dello stato” : è sufficiente considerare i “numeri” in questione (le decine di migliaia di società sportive attive nella miriade di sport praticati…) per rendersene conto.
A mio modesto avviso occorrerebbe iniziare a percorrere due binari paralleli, sicuramente non di pertinenza della cosiddetta “base” :
• la riforma, profonda del sistema sport nel nostro paese, argomento mai considerato seriamente dalla pubblica amministrazione e solo sfiorato, nella concretezza, dalle numerose e stucchevole tavole rotonde che sembrano avere come unico scopo la passerella mediatica dei tromboni di turno. Lo sport, nel suo complesso, è terribilmente ai margini di ogni programma politico, di qualunque colore, forse proprio perché non si intravedono soluzioni percorribili a livello collettivo ma fosse anche così non è giustificabile, assolutamente, il disinteresse verso un fenomeno assolutamente trasversale alla nostra società (lo sport è praticato anche dalle fasce economicamente più deboli e per quelle più deboli socialmente rappresenta spesso uno strumento di partecipazione alla vita collettiva).Se non si inizia, da qualche parte, si perpetuerà la litania del lamento improduttivo (non ci sono impianti, se ci sono costano troppo, a volte ci sono ma non sono a norma, e così via con gli amminis tratori che replicano che i soldi non ci sono, che se ci fossero invece bla bla bla).
• Il “perfezionamento” delle agevolazioni fiscali introdotte con la finanziaria 2005, affinché ben più consistenti possano essere i benefici per le aziende che decidano di “sposare” lo sport. Ne deriverebbe un incentivo ulteriormente concreto per le aziende e la possibilità di maggiore trasparenza nel rapporto con le società sportive, rimuovendo quindi qualunque “alibi”
Su questo andrebbe poi messa la cornice di una maggiore capacità da parte delle società sportive, di essere “attive” nelle dinamiche del progetto pubblicitario delle aziende che le sostengono, una sinergia che, studiata a monte con le aziende stesse, possa determinare il migliore risultato in termini di visibilità e risultare quindi più appetibile. Tutto questo richiede la disponibilità dei dirigenti di società ad un minimo di percorso formativo che, in quanto tale, se gestito ai livelli più alti, potrebbe trovare anche le risorse in ambito europeo.

Nel frattempo continuerà la mia paziente e sempre ottimistica (nonostante l pessimi risultati) ricerca di sponsor per la mia squadra di basket femminile che, ultimato il girone d’andata della prima fase, ne è ancora priva. In questi primi tre anni ho avuto la fortuna di contare sull’aiuto di imprenditori “amici” ed appassionati, che hanno sostenuto, appunto più per amicizia che per esigenze di visibilità delle loro aziende, una parte dell’impegno economico necessario a gestire l’attività.
L’altra parte (consistente, nell’ordine di alcune decine di migliaia di euro….) è, come capita a molte altre società, sulle spalle del presidente, cioè del sottoscritto, così “sfortunato” da non trovare (mi si perdoni l’ironia…) nemmeno un’azienda interessata a “fatture da gonfiare”…

Carlo Besana
Presidente NBA New Basket A-Zena