Genova di appresta a celebrare il cinquantesimo anniversario del 30 giugno 1960, data-simbolo della rivolta contro il congresso del Msi ed il Governo Tambroni. “Celebrare” – si badi bene – quasi fosse il 25 aprile, il 2 giugno, il 4 novembre. Il calendario appare molto fitto: una mostra al Ducale, una rassegna cinematografica, un convegno, con annesso corteo (fino a Piazza De Ferrari, luogo degli scontri, in cui decine di poliziotti furono vittime di squadre ben addestrate alla guerriglia) ed un concerto serale. Patrocinatori paganti il Comune, la Provincia di Genova e la Regione Liguria. Quello che sfugge ai più, comprese le istituzioni locali, è che comunque i “protagonisti” dell’epoca, subirono, nel processo che si tenne, a Roma, due anni dopo, gravi condanne per resistenza, oltraggio e danneggiamenti, malgrado l’appassionata arringa di Umberto Terracini, che aveva invitato i giudici a non ribaltare il verdetto già pronunciato dal “tribunale del popolo”.
Dopo, cinquant’anni da quei fatti, è giusto “celebrare”, con la pompa delle grandi occasioni, un avvenimento a dire poco oscuro e comunque al limite dell’”apologia di reato” quali furono le giornate del giugno ’60 genovese ? Fino ad allora il Msi aveva concorso, senza problemi, alla vita democratica del Paese. Aveva eletto presidenti della Repubblica, sindaci (compreso il genovese Pertusio), presidenti di provincia. Era stato persino protagonista, in Sicilia, di un accordo “trasversale” con il Pci, che aveva portato all’elezione alla presidenza della regione del notabile democristiano Silvio Milazzo. Lo stesso Msi si apprestava ad uscire dal congresso genovese, poi non tenuto sull’onda della protesta di piazza, con una mozione unitaria (“Inserirsi per rinnovare”) che ribadiva il “rispetto del metodo democratico” e “la salvaguardia delle libertà civili e politiche”, pur nella consapevolezza dello scontro in atto tra le diverse anime della Dc, divisa tra “centrismo” ed “apertura a sinistra” (verso il Partito Socialista). Più che “celebrare” il 30 giugno sarebbe meglio interrogarsi su quei fatti, cogliere realmente gli interessi in gioco, capire gli orientamenti delle forze politiche in campo. Purtroppo gli stessi partecipanti al convegno genovese non sembrano garantire il pluralismo necessario ad allargare il confronto. Eppure sarebbe bastato invitare docenti universitari come Piero Melograni e Giuseppe Parlato, o giornalisti, impegnati , da anni, nella ricostruzione di quelle vicende storiche, come Adalberto Baldoni o Luciano Garibaldi, per fare uscire fuori dalle secche della retorica d’occasione quegli avvenimenti, attraverso un serio confronto.
L’impressione è che più che comprendere i fatti, l’intendimento del 30 giugno genovese sia ancora quello di riperpetuare un uso strumentale della Storia, di questa come di altre storie. Magari con un occhio rivolto all’attualità piuttosto che ad una corretta e completa ricostruzione di avvenimenti lontani da noi mezzo secolo, ai quali dedicare una “celebrazione” appare francamente una forzatura.
*Giornalista
IL COMMENTO
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