Politica

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Cosa cambia nella sinistra italiana? I recenti risultati delle primarie milanesi con la vittoria del candidato promosso da SEL  e la sconfitta del candidato marchiato PD, arrivano come la conferma di un certo tipo di tendenza  che già nella Puglia di Vendola si era verificata. Allora, il risultato a favore del governatore pugliese venne giustificato dalla grande popolarità di Vendola sul suo territorio ma i risultati milanesi e la sfida già lanciata per le “primarie” di Bologna tra la candidata appoggiata da SEL e il candidato appoggiato dal PD lasciano trasparire che stiamo assistendo ad un fenomeno non episodico ma con precise dinamiche politiche e di costume sociale.

 La parola sfida tradisce però un fraintendimento del significato delle “primarie”. Queste consultazioni sono indette per decidere quale sia il candidato di una coalizione anzi, per far decidere ai potenziali elettori il loro candidato che, forte de consenso e dell’appeal conquistato e verificato con le primarie si pone come la migliore ipotesi per la vittoria di quello schieramento. Se poi gi altri sono più forti è un altro discorso. Le primarie dicono che quel candidato è quello più gradito nell’elettorato che tendenzialmente andrà a votare in un certo modo.

Le “primarie” però testano un altro livello, machiavellico, di pura  espressione di potere. Il partito che le organizza, in questo caso il PD, è quello egemone nella sinistra quello che “senza di noi non c’è l’alternativa” e quindi  il candidato del PD dovrebbe, naturaliter, essere quello più votato perché espressione del partito più grande, strutturato e capillare. Ma ciò non avviene e Corrado Guzzanti con ineffabile ironia può dire “Il PD è il primo partito a organizzare le primarie ma anche il primo a perderle”.

Perché?  E’ evidente che c’è qualcosa di sbagliato nella proposta del PD perché ciò che avviene è che i suoi elettori votano quello di SEL, un partito che, sondaggi degli ultimi giorni a parte, superava di poco il 3% alle ultime elezioni.

Abbozziamo un’ipotesi. Il PD per espressione del suo segretario è “un partito di governo momentaneamente all’opposizione”, ed è stato pensato per andare al governo prima o poi in un sistema bipolare, maggioritario. Legittima aspettativa, perseguita con impegno con la prospettiva che, parafrasando l’espressione coniata da Berlusconi pensando a cosa doveva essere Forza Italia “gli elettori si stanchino prima o poi dell’aranciata dolce (PDL) e preferiscano quella amara (PD). Il PD è pensato nella logica che in un’alternanza bipolare prima o poi i ruoli si scambino e quindi, occorre mantenere un assetto speculare  di chi al governo c’è, perché necessariamente, quasi inevitabilmente prima o poi al governo ci si andrà. Nella logica delle cose. Ma così non è o almeno non lo è più. Il PDL non esiste più di fatto nella sintesi AN + FI, il centro è stato occupato dall’UDC e la LEGA NORD  detta l’agenda di un governo alla deriva. Il sistema bipolare è crollato. La crisi, intanto produce disoccupazione, precarietà, diseguaglianze.  Ma il PD non intercetta l’elettorato che, naturaliter, a questo punto dovrebbe guardare verso l’altra opzione di governo alternativa al PDL + la LEGA NORD . Nella logica delle cose ciò è inspiegabile.

L’unica spiegazione, opinabile, è che il PD sia un congegno strutturato ma superato dagli eventi, pensato per intercettare dinamiche d flusso elettorale immaginate a tavolino ma non empiricamente.  L’errore è forse quello che pensando all’automatismo di questi meccanismi  il PD si sia preoccupato di non rappresentare nettamente un elettorato, valutando, che nell’alternanza bipolare ne avrebbe dovuto accogliere diversi automaticamente, una volta decisi questi a cambiare linea di governo. Invece L’UDC al centro è assai più convincente per i cattolici e per i delusi del PDL (senza contare Fini per l’elettorato ancora radicato in AN) e SEL interpreta con più agilità e spregiudicatezza i temi tipici di una sinistra laica ed egualitaria. E quindi, le primarie. Se Vendola dovesse battere Bersani significherebbe non che ha perso Bersani ma che un progetto sconfitto dai fatti è da ripensare radicalmente.  In un anonimo episodio della Guerra d’indipendenza americana raccontato dal presidente Roosvelt si racconta che un borioso ufficiale dell’esercito degli insorti  guidato da Washington   si ostinasse a schierare le sue truppe specularmente a quelle inglesi più esperte e meglio equipaggiate, affrontandole sul campo frontalmente. Ciò costava la decimazione dei suoi uomini a ogni scontro. Washington intervenne e ordinò al generale di cambiare strategia e di tenere al riparo le sue truppe, vicino all’artiglieria e trincerate. L’ufficiale si inalberò “In questo modo non vinceremo mai” Washington offrendogli i cannocchiale per fargli vedere la strage dei suoi uomini rispose “così, però, si perde”.