Cronaca

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Stessa manifestazione dopo quasi vent’anni. Questa mattina vedendo i lavoratori della Fincantieri manifestare davanti alla Prefettura è, inevitabilmente, scattato in me un brutto ricordo. Esattamente 19 anni fa lo stesso calvario lo hanno vissuto quelli che lavoravano nelle riparazioni navali nel cantiere O.A.R.N. di Genova. Forme diverse, forse, ma nella sostanza stesse modalità: la decisione di ridimensionare quell’ unità produttiva, ma in prospettiva il risultato fu quello di chiudere il cantiere. Allora dissero che le riparazioni navali non erano più strategiche per l’azienda.

All’epoca i lavoratori della O.A.R.N. furono ricollocati: in parte, con un’operazione di cessione di ramo d’azienda, ad una ditta che produceva yacht in vetroresina che cessò di esistere da lì a pochi anni, altri confluirono alla Grandi Motori Trieste altri a Riva Trigoso ed un buon numero alla Fincantieri di Sestri Ponente, che diventò Cantieri Navali Italiani.

 In questi anni una politica governativa miope (oppure perfettamente consapevole dei risultati da ottenere) ha permesso di realizzare solo pochi investimenti e non si è mai concretizzato un minimo sforzo di pianificazione industriale che portasse a diversificare la produzione. Questa totale assenza di strategia da parte dei governi passati, ma soprattutto quello attuale, ovviamente non ha permesso ai cantieri una ben che minima possibilità di sviluppo e di una vera prospettiva di futuro solido. Il risultato finale di questa ignavia è sotto gli occhi di tutti. Quello che appare più terribile ora, rispetto a quanto avvenuto nel passato, è la totale mancanza di una prospettiva lavorativa per i lavoratori che hanno manifestato e manifesteranno nelle nostre strade. Una protesta più che legittima a fronte di nessuna prospettiva di reddito per centinaia di famiglie.

Riflettendo con attenzione non può che balzare agli occhi come le cause di questa prospettata chiusura non siano da addossare esclusivamente a motivi industriali-produttivi ma più facilmente potrebbe essere ricondotte a vere e proprie scelte geo-politiche. E’ innegabile che l’affondamento - mai termine marittimo è più azzeccato- delle attività cantieristiche abbia colpito con maggiore virulenza quelle del mar Tirreno e non quelle dell’Adriatico.

Forse che spazi, luoghi e realtà geografiche vengano svuotate del proprio patrimonio umano a favore di altre realtà e altri patrimoni? Una domanda che si fa sempre più insistente viste le prospettive assai preoccupanti che continuano a delinearsi. Genova non può rinunciare al lavoro, soprattutto a questo tipo di lavoro, che è l’ultimo baluardo delle attività produttive che da tempi immemorabili sono presenti sul nostro territorio. Una situazione che deve trovare una soluzione efficace, perché la stessa storia, gli stessi attori e gli stessi drammi non possono avere questo unico amaro epilogo.