GENOVA - Stato di agitazione fino al 23 novembre giorno del consiglio di amministrazione a Milano di Acciaierie d'Italia con una delegazione di lavoratori che potrebbe partire per il capoluogo Lombardo per far sentire ancora più forte la propria voce. È quella la data cerchiata di rosso nel calendario. Gli operai ex Ilva sono tornati in piazza a Genova per dare un segnale del malcontento della situazione attuale.
Prima l'assemblea davanti allo stabilimento di Cornigliano, poi un corteo interno per le strade dell'acciaierie fino a sbucare da un varco nei pressi dell'aeroporto Cristoforo Colombo. Quindi l'occupazione della rotonda di accesso allo scalo aeroportuale genovese dalle 10,15 fino alle 11,15. Un'ora esatta tra cori, pneumatici incendiati e la richiesta di chiarezza e di un segnale da parte del governo per capire quale sarà il futuro dei mille lavoratori dell'ex Ilva a cui si aggiungono i 230 dell'Ilva in amministrazione straordinaria dal 2005. A campeggiare lo striscione "Meglio una lotta disperata che una disperazione senza lotta". Durante il blocco chi doveva partire e chi è atterrato è entrato e uscito a piedi con i trolley al seguito.
L'incertezza del rilancio della siderurgia e le condizioni precarie di sicurezza all'interno dello stabilimento di Cornigliano sono la base della protesta. Dai lavoratori e dai sindacati la speranza che lo stabilimento di Genova possa rilanciarsi visto che lavora al 20% delle sue possibilità e ha la produzione della banda stagnata che rappresenta un unicum a livello nazionale che, spiegano i sindacati, potrebbe essere sfruttata.
“È una situazione paradossale - spiega Valerio D’Alò, segretario nazionale Fim Cisl -. È impensabile che il governo arrivi da noi per dirci che la trattativa tra il Fitto e ArcelorMittal il tema sia arrivare al 23 per capire le intenzioni dell’investitore privato. Lo Stato continua a mettere soldi in una gestione in cui non ha nessuna voce in capitolo. Per un abbiamo sentito il ministro Urso dire che la gestione dello Stato Sarebbe passata al 60%, poi ad un tratto nasce una trattativa segreta dov’è le opzioni sono tutte di altra natura tra cui quella di ridare tutto in mano ad ArcelorMittal. Al governo diciamo di prendere una decisione. Non c’è mai stata una situazione così confusa come in questo periodo. Non stiamo giocando a poker, non si possono scoprire le intenzioni di un socio privato a cui il governo sta dando risorse pubbliche senza sapere nulla e senza coinvolgere il sindacato. Abbiamo visto tutti il disastro che ha portato alla vertenza. L’incontro della scorsa settima con il governo è andato malissimo, per questo è ripartita la mobilitazione in tutti i siti del gruppo, ricordando come per un anno il ministro Urso paventava l’idea di far passare lo Stato al 60% del controllo azionario di Acciaierie d’Italia e pare che nell’attuale trattativa si stia discutendo di tutt’altro” conclude D'Alò.
E Christian Venzano, segretario generale Fim Cisl Liguria: “Vogliamo che il 23 novembre nella riunione degli azionisti il governo esca allo scoperto e insieme a Mittal si prendano la responsabilità del rilancio della siderurgia nel nostro paese, con investimenti da entrambe le parti con un piano industriale anche tenga insieme gli stabilimenti. Non accetteremo mai decisioni prese unilateralmente contro i lavoratori.”
Non ha dubbi il segretario generale della Fiom Cgil di Genova Stefano Bonazzi: "Se continua così la siderurgia in Italia rischia di scomparire per sempre. Per questo quest'oggi abbiamo deciso di mobilitare i lavoratori, dopo aver indetto lo sciopero con Fim e Uilm. Il rischio è che possa implodere. Gli impianti di Genova sono abbastanza recenti e la produzione genovese è di assoluto livello, la latta è una eccellenza e che potrebbe vendere. Si potrebbe addirittura parlare non di cassa integrazione ma di assumere. Oggi diamo un segnale.
Fabio Ceraudo della rsu Usb non usa mezzi termini e punta il dito sull'attuale governo: "Con quest'ultimo governo la situazione si sta aggravando. Pensavamo che l'acciaio potesse essere rilanciato da chi si dice. Ora invece sembra che potrebbe far fare il lavoro sporco alla mulltinazionale, saremo uno dei pochi Paesi che rinuncerebbero a un asset fondamentale. La sicurezza all'interno è ai minimi termini, c'è sempre il rischio che una persona perda la vita. Il governo complice di quello che sta accadendo in questa fabbrica. La soluzione auspicabile? L'entrata del governo come socio di maggioranza e che poi si occupi di rimettere in piedi la siderurgia. Prima della crisi l'acciaio portava il 2% del pil nazionale".
Tra chi aspetta di conoscere il proprio futuro ci sono anche i circa 230 lavoratori dell'Ilva in amministrazione straordinaria. Aspettano da tempo di poter essere riassorbiti all'interno del piano di sviluppo del gruppo ma per ora senza successo. Luca Pasquetti, Ilva in AS spiega: "Il piano di rientro era previsto per l'agosto del 2023 ma la situazione generale è andata peggiorando e sono ancora in cassa integrazione. Parliamo di 228 unità che hanno il vincolo di dover rientrare in un'azienda che mette in discussione la sua stessa esistenza. Sono stati i primi a uscire nel 2005 con l'accordo di programma a causa della chiusura dell'area a caldo. Nel 2018 si è fatto un nuovo accordo che prevedeva il loro reintegro ma nulla si è mosso. Nel caso dell'inasprirsi della vertenza i primi a pagare sono proprio loro. Al governo e all'azienda chiediamo chiarezza, serve un punto di svolta in modo da poter tornare a produrre".
IL COMMENTO
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