GENOVA - Il 16 giugno del 1944 i fascisti della Repubblica Sociale italiana spalancarono le porte delle fabbriche genovesi ai nazisti cacciatori di schiavi: vennero requisiti e deportati 1.500 operai.
Il rastrellamento fu particolarmente violento, il viaggio su treni piombati. La loro casa fu il lager di Mauthausen, per lavorare nell’industria militare del Reich, soffrendo la fame e il gelo. I nazifascisti non scelsero quelle fabbriche per caso: volevano procurarsi manodopera di alto livello, ma soprattutto stroncare la caparbietà operaia, che nei mesi precedenti aveva inferto duri colpi alla produzione e alla propaganda repubblichina con una raffica di agitazioni, scioperi e boicottaggi.
Nel suo libro, ‘Assalto alla fabbrica’ edito da People, Giovanni Mari, giornalista del Secolo XIX, ripercorre questi fatti a ottant’anni di distanza, raccontando attraverso questo episodio la deportazione per ragioni politiche di oltre 23mila italiani e di oltre 100mila lavoratori e dimostrando la complicità dei fascisti nella costruzione della macchina dell’oppressione nazista.
IL COMMENTO
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