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La toccante testimonianza di una donna che vive a Chiavari
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di Elisabetta Biancalani

CHIAVARI - Fanno venire le lacrime agli occhi le parole di Lyudmila, che abita a Chiavari, parte di una comunità ucraina che nel Tigullio conta circa 3000 persone, di cui circa 80 frequentano la chiesa ortodossa delle Clarisse. Lyudmila ha figlia e nipoti in una delle città più colpite dai bombardamenti, Karkhiv: "E' da sei giorni che si combatte duramente, fino a ieri ero sempre riuscita a comunicare con mia figlia ma questa mattina ho provato e no sono riuscita. Poi mi è arrivato un suo messaggio con scritto Siamo vivi. Lei e i miei nipotini si sono chiusi in casa, vivono nel corridoio lontani dalle finestre, che hanno coperto con materassi in caso di spari e bombe. Hanno con loro martelli e quanto possibile per provare a togliere le macerie nel caso in cui la casa crollasse sotto i bombardamenti. Lì non hanno un rifugio, non tutte le case ne sono sprovviste. 

 

 

Io vivo ormai appesa ai suoi messaggi, aspettando che mi dicano che sono ancora vivi - racconta Lyudmila, lacrime agli occhi - e gli uomini sono tutti pronti a combattere. Nelle case chi ha potuto ha costruiti delle bottiglie molotov pronte per essere scagliate contro i carri armati. Mancano cibo e medicine. C'è gente che sta male e non sa come fare. Ringrazio tutti gli italiani che non ci stanno facendo sentire soli". La incontriamo alla chiesa delle Clarisse di Chiavari dove tutti i giorni dalle 14.30 alle 16.30 e dalle 19.30 alle 20.30 si raccoglie qualsiasi cosa possa servire, sia per chi arriva qui senza nulla sia per chi è in patria a combattere: "I nostri prodotti raccolti partono poi per Verona dove c'è un punto di smistamento - spiega Vira, che coordina la comunità ucraina di Chiavari - servono cibo a lunga conservazione, pannolini, vestiti, tante medicine ma non conservate in contenitori di vetro. Serve tutto". E intanto è una continua processione di persone che vanno a lasciare qualcosa, in scatoloni, sacchetti. 

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