GENOVA - Non sempre, quando non succede nulla all'orizzonte, è un segnale positivo, anzi. L'immobilismo che stanno vivendo i lavoratori ex Ilva racconta proprio questo, perché, al momento, non sta accadendo niente, tutto è fermo. Il blocco dell'acciaio di Taranto rischia di fermare non solo il comparto della siderurgia ma anche quello della manifattura italiana. Non solo: è arrivato l'ulteriore rinvio dell'assemblea dei soci di Arcelor Mittal, fatto che i sindacati Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uilm in una nota congiunta definiscono come "la mancanza di volontà da parte di entrambi i soci di risolvere la vertenza positivamente salvando un asset industriale strategico del nostro Paese e 20mila posti di lavoro".
"Stiamo cercando di capire come mai il governo non riesca a trovare la strada con decisioni definitive, noi abbiamo visto il decreto salva Ilva dove il governo ha cercato un meccanismo che abbiamo accolto con piacere per traguardare il benessere del denaro pubblico - spiega Nicola Appice, rsu Fim Cisl -. Se questo socio privato (Mittal), al 62%, non dà segnale per mettere denari all'interno, il decreto darebbe spazio al governo con una percentuale più alta. La verità è che il meccanismo si è rallentato e dentro al governo non la pensano tutti nello stesso modo. Chiediamoci se ci sono spazi per trattenere l'azienda in Italia, arrivati a questo punto".
La sensazione, che sembra concretizzarsi sempre di più, è che non ci siano più margini per salvare l'azienda, perché tutti gli spiragli aperti verso questa azienda e multinazionale sono stati chiusi. Quello che circola, all'interno degli stabilimenti, è che i lavoratori non vogliano più Mittal, come confermato da Appice: "Ci sono problemi di soldi e se ci sarà il fallimento saremo di fronte a un disastro sociale ed economico".
Sul futuro di Genova esiste però un asso nella manica che riguarda le aree ex Ilva che interessano anche nuovi possibili investitori, i segnali sono arrivati dallo stesso sindaco di Genova Marco Bucci. "Sappiamo dell'interessamento a queste aree ma noi fino all'ultimo cercheremo di aggrapparci all'acciaio, nessuno può creare lavoro come questa area siderurgica, ma se non si lavora più l'acciaio si dovrà parlare di altro - rilancia Appice -. A questo punto ben vengano i piani B, perché iniziamo a farci delle domande. Noi possiamo fare di tutto ma è veramente difficile ed estenuante trattare con un'azienda che ha queste difficoltà economiche. Non è colpa dei dirigenti, ma di tutta la situazione, non ci sono condizioni per affrontare le giornate con serenità". Insomma, una battaglia ancora aperta e infinita, con l'ipotesi sempre più concreta che lo stabilimento di Cornigliano, un giorno, si trasformi in un'altra “cosa”.
IL COMMENTO
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