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L’immersione dell’uva per qualche giorno in mare era realizzata dagli antichi greci già 2500 anni fa per eliminare la sostanza cerosa esterna dei grappoli, la pruina, e guadagnare così tempo per l’appassimento.
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VERNAZZA - Un tuffo dove l’acqua è più blu… per alcuni grappoli scelti della vendemmia 2024. È quanto avviene alle Cinque Terre dove dai tre ai quattro quintali d’uva dei vitigni Bosco, Albarola e Vermentino, sono stati depositati, con cautela, dentro delle nasse d’acciaio e portati sul fondale della spiaggia di Guvano, tra Vernazza e Corniglia.

A recuperare questa antica tecnica di vinificazione sono tre cantine del territorio - BarCa, Missanega e Sp4488 – che hanno richiesto le autorizzazioni al Parco nazionale e avviato un progetto legato alla produzione di un vino di sicura eccezionalità. L’idea non è nuova: l’immersione dell’uva per qualche giorno in mare era realizzata dagli isolani di Chio per eliminare la sostanza cerosa esterna, la pruina, e guadagnare così tempo per l’appassimento.

Il segreto degli enologi greci di 2500 anni fa ha incuriosito Guido Galletti, viticoltore e pescatore, che per primo ha voluto provare a realizzarlo, coinvolgendo poi anche le altre cantine.  “La tecnica consiste nell'immergere l'uva per un periodo di circa 72 ore a una profondità di 5-6 metri” spiega Galletti. La zona in cui lasciare l’uva cullare dal salmastro è stata scelta dai biologi del Parco. “Una zona piccola, a Guvano, in un fondale di ciottoli -. Prosegue Galletti -. L'intuizione mi è venuta qualche anno fa su internet. Abbiamo scoperto come vinificavano gli antichi greci e, con molta emozione, abbiamo voluto riprovare”.

Certo c’è sacco di lavoro da fare: la vendemmia, il trasporto invece che in cantina al molo, poi sulla barca e quindi nella nassa. A seguire l’immersione, dopo due giorni il recupero e poi di nuovo il trasporto in cantina. L’aiuto per fortuna non manca. “Quando siamo arrivati con le casse d’uva a Vernazza al molo abbiamo trovato un sacco di giovani, e meno giovani, pronti ad aiutarci. È stata la soddisfazione più grande” aggiunge il viticoltore.

Il risultato qual è? “Un vino sapido, ricco di sali minerali, dal gusto unico, assolutamente da provare. Potrebbe esserci un'operazione supplementare, ossia, dopo l’imbottigliamento, riportarlo in mare per quattro mesi. In primavera riportato in superficie e abbinato a un ottimo piatto di pesce locale”. Il progetto è seguito dall’università di Pisa e Firenze, dal parco nazionale delle Cinque Terre e ha coinvolto degli ex studenti dell’istituto Arzelà di Sarzana. Fatica e poesia, le due cifre di un territorio unico, si trovano anche in questo nuovo obiettivo. “Uniamo il mare delle Cinque Terre all'agricoltura, al vino, alla storia di questi luoghi” conclude Galletti.