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di Franco Manzitti

GENOVA - La polemica sulla funivia progettata per collegare il Porto Antico con il Forte Begato e quindi con il sistema della seconda Muraglia al Mondo dopo quella cinese, riassume anni di dibattiti, discussioni sullo sviluppo e le trasformazioni genovesi. Potremmo dire che i piloni, le cabine, i cavi, le stazioni di partenza e di arrivo e il quartiere più interessato all’opera in fieri (o no?), il Lagaccio dal nome già dispregiativo e il suo destino trascurato, formano la tesi e l’antitesi di quello che vogliamo a Genova.

Tesi: siamo lanciati verso uno sviluppo turistico in grande espansione, nel quale la funivia coglie l’obiettivo di finalmente conquistare un secondo grande polo di attrazione, dopo l’Acquario, mettendo in un altro livello i palazzi dei Rolli e le altre bellezze del centro storico e dei parchi e delle ville da Ponente e Levante. Lassù c’è un patrimonio storico unico al mondo, un complesso di costruzioni "storiche" che si prestano a diventare, se finanziate e riconvertite e pure commercializzate, un “unicum” al mondo. Ma devono esserci capitali, progetti e una grande forza decisionale.

Antitesi: la funivia "sfregia" un quartiere in difficoltà permanente, definito già da quel dispregiativo. Anni fa avevano pure deciso di costruirci la Moschea musulmana, quando questo tema era urgente, quasi imprescindibile e abbiamo visto che non se ne parla più.

I tre-quattro piloni piantati nel cuore del Lagaccio, quelle cabine in sospensione sulle case  sarebbero il segno finale di una marginalizzazione che dovrebbe essere affrontata in ben altro modo che con la funivia per beneficiare i turisti e la città  "sorvolante". Perchè non "allungare" la funicolare di Granarolo, non recuperare bene la caserma Gavoglio, non costruire accessi più comodi e interconnessioni decenti, migliorando la qualità della vita in un’area sacrificata dall’orografia e anche da carenze amministrative?

Schematicamente e anche politicamente la polemica è più generalmente tra il "Si" e il "No": i due partiti che si affrontano da decenni e che ora sono arrivati, con questa vicenda, ma non solo, a un confronto più frontale, perché ci sono un sindaco e una giunta decisionisti, mentre prima il governo cittadino indulgeva alle mediazioni. Non sempre nella storia genovese.

Quanti no ci furono alla Pedemontana di corso Europa che stravolgeva i quartieri del Levante? Vinse il si. Quanti no ci furono alla Sopraelevata, che stravolgeva il “bordo portuale” e abbatteva financo il Ponte Reale? Vinse il si.

Quanti no ci furono alla costruzione della Bretella Volti -Rivarolo, che minacciava i campi di basilico di Prà? Vinse il no. E il Morandi è crollato anche per questo motivo.

 Quanti no ci furono per la Moschea a Cornigliano, al Lagaccio e in altri luoghi? Vinse il no. Quanti no ci sono per la costruzione del Galliera bis? Sta vincendo il ni.

Quanti no ci sono stati al travolgente ingresso di Esselunga, tra via Piave, via di Francia e ora a Sestri, dopo che alle Coop per decenni è stata consentita la qualunque? Una valanga. Sta vincendo il si.

Quanti no sono marciati contro i depositi petroliferi a Sampierdarena? Non ha vinto nessuno (per ora). 

Potremmo continuare, visitando epoche diverse con ovviamente diverse sensibilità ambientali e capacità comunicative e assetti decisionali politico economici tanto disuguali a oggi e faremmo il riassunto del percorso che ha portato Genova a essere quella che è.

Una città che sale o una città che scende? A voi l’ardua sentenza.

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