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di Luigi Leone

Dunque, non sembra che il problema fosse il simbolo di partito, ma più semplicemente che a Fratelli d'Italia non andasse bene Claudio Scajola come ri-candidato sindaco di Imperia. Per carità, opinione e scelta rispettabili, ci mancherebbe altro. Ma dirlo no? Altrimenti non si capisce come mai vada benissimo, invece, Luciano Zarbano, uomo della Benemerita in odore di messa a riposo, che il simbolino di FdI lo accetta eccome, anche se non è iscritto al partito. Cioè si tratta di un "civico" in piena regola, come Scajola. E con uno slogan uguale a quello del suo antagonista: "Il mio partito è Imperia".

Il problema sarà mio, però fatico a capire. Seguitemi. L'ex primo cittadino Paolo Strescino, uno degli uomini forti dei Fratelli, sul Secolo XIX prova un'esegesi: "Zarbano non ha tessere, ma riconosco in lui tanti valori in comune con FdI". Cita pure la coerenza, Strescino. A proposito della quale giova ricordare che a volerlo sindaco di Imperia fu lo Scajola dei tempi andati, quando faceva il ministro e a Imperia avrebbe vinto pure se avesse schierato Paperino.

Oddio, solo gli stolti non cambiano idea, però... Inoltre, sarà pure sbagliato pensare male, tuttavia gira pure questa: Matteo Rosso, il coordinatore regionale dei Fratelli, è stato geniale, perché se FdI perde, perdono proprio Strescino e l'uomo fortissimo del Ponente, cioè il parlamentare Gianni Berrino, se invece il partito vince anche Rosso vince.

A qualcuno è venuto mal di testa? Non è finita. Specularmente, il capoluogo rivierasco offre la plastica dimostrazione delle divisioni molto particolari nel Pd. Dunque: il segretario provinciale, che proviene da Forza Italia, appoggia la candidatura ufficiale di Laura Amoretti, dopo aver sostenuto alle primarie Stefano Bonaccini. Come noto, invece, ha vinto Elly Schlein, che dovrebbe parteggiare per la Amoretti medesima, candidata ufficiale e pure donna.

Ma il cuore di Schlein è ben più spostato a sinistra, dove si trova l'altro "piddino" Domenico Abbo, che coagula buona parte di quello schieramento. Ieri Elly si è insediata sulla tolda del Pd: bene, non fosse che d'incanto sembrano spariti tutti i suoi oppositori interni. E lei che nel partito delle correnti urla: "Basta cacicchi e capibastone!". Questo renderà più facile, domani, quadrare il cerchio sul "caso Imperia"? Vedremo. Però tutto sembra congegnato per far vincere Scajola. E sul piano nazionale lasciamo perdere la coerenza: fino a metà settembre c'era il Pd al governo, non Meloni.

Contro di lei, tuttavia, ogni cosa sembra congiurare dall'interno della stessa maggioranza di governo. Mai del tutto passata la buriana dell'ex magistrato Nordio (ora il nodo è la riforma della Giustiazia), ci sono altri ministri, segnatamente Piantedosi (Interni) e Valditara (Istruzione), che farebbero meglio a contare fino a cento prima di aprire bocca. Anzi, "un bel tacer non fu mai scritto": che sia di Dante Alighieri o del librettista e poeta Iacopo Badoer, l'antico adagio sembra fatto su misura per loro e più in generale per l'esecutivo.

In questa fase si incastona alla perfezione la storia del cinquantesimo compleanno di Salvini, caduto nel bel mezzo del caso immigrati morti a Cutro, in Calabria. Festa con karaoke, disvelata da un video uscito sui social certo non casualmente. Ovviamente l'opposizione ci è saltata sopra, esprimendo sdegno per la mancanza di rispetto verso le vittime. E in effetti non è propriamente stato un atto di pura eleganza.

Ma chiedo: Meloni è andata alla festa e tutti a dire che è stata inopportuna. Se non ci fosse andata, però, avremmo discettato sulle divisioni nel centrodestra, con i morti di Cutro a fare da paravento. Insomma, qualsiasi scelta avrebbe messo Meloni in croce. Nessuno, invece, ha osservato la cosa più ovvia: Salvini poteva più semplicemente e più umanamente rimandare la festa del suo cinquantesimo. Che poi, cosa mai ci sarà da festeggiare a diventare più vecchi?

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