“Servirebbe una bella semplificazione fiscale e amministrativa”. Così parlò l’assessore regionale ligure allo Sviluppo economico Andrea Benveduti. Un vero e proprio appello al governo perché faccia qualcosa. Prima di Benveduti, della cui buona fede nessuno dubita, a decine sono stati gli amministratori locali e i parlamentari che hanno esposto con forza lo stesso pensiero. E si rivolgevano ad esecutivi di colori diversi: del centrodestra, del centrosinistra, tecnici. La cosa buffa di tutta la storia è che immancabilmente erano e sono tutti d’accordo. Però siamo ancora qui…
Bisogna trovare il coraggio, allora, di dirsi la verità. Anzi, le verità: perché sono due. La prima: la politica, almeno questa politica, non troverà mai la forza di fare una cosa che cozza violentemente contro la ricerca del consenso. Per tanti che godrebbero per un simile provvedimento, ce ne sono almeno altrettanti che vedrebbero messa in discussione la loro stessa ragion d’essere: non potrebbero mai esserne contenti e, quindi, apprezzare i partiti che si assumessero una simile responsabilità.
E qui veniamo alla seconda verità. Banalmente questa: per ridurre la burocrazia è necessario affidarsi (anche) alla… burocrazia. Come chiedere al tacchino di fare festa quando bisogna tirargli il collo. E lo stesso ragionamento vale tal quale se si tratta di ridurre le tasse o rendere più semplici certi adempimenti. Se io facessi il commercialista, il consulente fiscale, l’agente della Finanza, l’impiegato delle Entrate e via citando non sarei affatto felice se il cittadino (mica solo l’imprenditore, il commerciante, l’artigiano eccetera eccetera) potesse fare a meno di me. O di me non avesse più un qualche timore.
Alcuni dati sono esemplificativi. In Italia la pressione fiscale è del 43,5 per cento, meno che in Belgio (52,6%), Germania (48,1), Austria (47,8) e Francia (47). Però: vogliamo fare un confronto fra i servizi resi grazie alla fiscalità generale? Se passiamo alla burocrazia, ogni anno le imprese pagano 57 miliardi, impiegando nel disbrigo degli adempimenti qualcosa come 34 giornate di lavoro di un dipendente a tempo pieno, vale a dire il 52% in più della media dei Paesi Ocse.
Potrei continuare, ma credo di aver reso l’idea. La realtà è che si tratta di una sempiterna questione di potere, che la politica ben conosce esercitandone molto e a iosa. Lo so che è brutto a dirsi. Anzi, so che non si dice proprio. La regola sta diventando semplice nel nostro beneamato Stivale: riteniamo tutti che la semplificazione sia necessaria, però ci fermiamo all’enunciazione del principio.
Dalle parole ai fatti non si passa mai, anche se è stato persino istituito un ministero competente. Ma questo, in fondo, non deve sorprenderci. L’Italia è il Paese dell’ammuina e, soprattutto, dei gattopardi: che tutto cambi affinché nulla cambi. Appunto.
IL COMMENTO
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