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di Elisabetta Biancalani

Alla fine è arrivato: il temuto messaggio nella chat della scuola elementare di mia figlia, è arrivato a dire "c’è un positivo in classe". Immaginate 22-23 madri che leggono questo verdetto che, già lo sapevano, dà il via a una serie di deliri che da lì a dieci giorni almeno le accompagneranno. Inizia un trillo infinito di messaggini, ognuno dice la sua, pone domande. Panico, nella testa iniziano a frullare mille questioni irrisolte ma da risolvere in fretta: che partono da un banale “che giorno è oggi” fino a “dove la sistemo a fare la dad (didattica a distanza), che computer usa, chi la assiste perché ha solo 6 anni e da sola non è ancora capace” ecc. a fiume. Un fiume in piena che ti fa sbandare per qualche istante prima di prendere in mano la situazione. Mentre tu sei disperato la bambina esulta perché non deve andare a scuola (ma in pochi giorni cambierà idea fino ad arrivare a dire “non vedo l’ora di fare il tampone così mentre siamo in coda gioco con i miei compagni”, cioè avete capito bene, il tampone, quella cosa sgradevole che “ravana” nelle narici, che anche gli adulti mal sopportano, figuratevi un bambino, e invece tanto è forte la voglia di rivedere i compagni che persino il tampone va bene).

“Beata te!” sospira l’altro figlio di prima media, che inizia a mugugnare perché anche lui vorrebbe fare dad “uffa, speriamo che anche da me ci sia qualche positivo” e tu provi un attimo a dirgli “basta sciocchezze” e poi ci molli, perché le tue energie psicologiche le devi tenere per organizzare il tutto. Da dove si parte? Primo pensiero: in quarantena mia figlia non ci va perché ha già due vaccini completi, credo una delle poche in Liguria avendola voluta vaccinare il primo giorno, per una sorta di ossessione che vi avevo raccontato e che ora però fa valere i suoi frutti: Dad sì, quarantena no, e non è poco. Basta, in base alle nuove norme sulle quarantene, l’autosorveglianza per 10 giorni con mascherina Fp2, che significa certo dire addio al corso di ginnastica, non andare al parco senza protezione, non andare a un ristorante o bar per non doverla togliere a meno che non ci sia una più che ampia distanza dagli altri ecc., ma soprattutto significa non dover recludere in casa un bambino sano, senza sintomi (fino a prova contraria) per dieci giorni, neppure potendolo portare, sulla carta, dai nonni seppur vaccinatissimi con tre dosi (ma ormai non ci crede nessuno alla storia delle quarantene dei bimbi asintomatici tenuti nella PROPRIA casa, non è più tempo, è anacronistico SECONDO ME).

Dopo poche ore dalla notizia arriva sul portale Argo, la bibbia on line dei genitori, il contatto moderno tra scuola e famiglie (e ogni tanto dimentico che esiste e per settimane non leggo nulla “bucando” riunioni, colloqui ecc.) la comunicazione della scuola, non della Asl, che dice che con un solo positivo i bimbi possono continuare ad andare a scuola (sospiro di sollievo) ma, ma c’è un “MA” DA PANICO: NON POTRANNO USUFRUIRE DELLA MENSA QUINDI ALLE 12 LI PRENDI E ALLE 13,30 LI RIPORTI A SCUOLA!!!!!! Incredibile, disastro: un genitore manda il figlio al tempo pieno perché non può farne a meno, figurati una cosa del genere, per 8 giorni (10 meno sabato e domenica). Il cervello riparte all’impazzata, come fare? La baby sitter almeno la devi prendere per due ore, dalle 11,30 alle 13.30 compresi tragitti più o meno, ma potrà? C’è tempo di portare il bambino a mangiare a casa? Dipende dalla distanza casa-scuola di ognuno. Ma soprattutto quanto costa lo scherzetto? 160 EURO se va bene. E lì inizi a pensare come li avresti potuti investire diversamente… meglio lasciar perdere, gioco pericoloso per la salute mentale.


Parte la convocazione, sempre e solo da parte della scuola mai della Asl, per il tampone del giorno zero (T0), che sarebbe da fare lo stesso giorno della scoperta del caso, in realtà a seconda dell’ora viene fatto ovviamente anche il giorno dopo. Così succede, ma qui altro scoglio: chi porta la bimba a fare il tampone? Nonni anziani che a malapena badano a se stessi, io ho una registrazione a cui non posso mancare, papà prende ferie “tanto ne ho ancora un po’ accumulate” e via, si parte per il tampone, tra bimbi che ovviamente, hai voglia a dirgli di non farlo, si abbracciano, stanno uno sopra all’altro, giocano a più non posso in barba al distanziamento. Trill trill, ed ecco che spunta in quattro e quattr’otto il secondo contagiato, tutti a casa, per dieci giorni!

La scuola scrive la parola quarantena, ma non lo farà mai la Asl, il provvedimento ufficiale non arriverà mai, le mamme a chiedersi, dopo due o tre giorni a casa “se è già necessario tenere i bimbi a casa” e lì un valzer di pareri “sì, no, va a buon senso, per coerenza siamo chiusi in casa ecc.”. Alcune mamme aspetteranno inutilmente la dichiarazione Asl della quarantena per giustificare l’assenza dal lavoro, visto che la legge consente di stare a casa con i figli, percependo il 50% di stipendio. Qualcuna riferisce che il proprio datore di lavoro proprio vuole quella della Asl (e vaglielo a far capire che sono oberati, che il periodo è difficile e quindi quel foglio non si può produrre), mentre in altri casi si accontenta di quello della scuola.

La DAD inizia, 4 ore… non al giorno, attenzione, 4 ORE IN UNA SETTIMANA! Classe divisa in tre gruppetti, maestre dolcissime (un plauso ai modi e alla pazienza, all’abilità di carpire l’attenzione dei bimbi ridotti a faccette sfocate e controluce in riquadrini su uno schermo). Al settimo giorno di quarantena arriva una comunicazione della scuola che detta le nuove regole per i tamponi nelle scuole: per le elementari oltre al tempone il giorno zero, è previsto anche quello al giorno 5 e infine al 10. Peccato che il giorno 5 sia bello che passato… vabbè. Ci sono gli orari dell’apertura dell’hub della Asl con orari divisi a seconda del cognome. La convocazione non è quindi nominale ma ogni scuola comunica in quale giorno bisogna andare e ognuno poi, in base alla lettera del suo cognome, si regola e reca. Anche in questo caso si scatena il panico nella chat dei genitori quando si diffonde la voce che all’hub ci sono code di due ore: domande del tipo “ma per il ritorno a scuola vale anche quello fatto in farmacia? Occhio che in farmacia ci vanno anche i sintomatici visto che la Asl non riesce a mandare gli operatori a domicilio, quindi attenzione, rischiate di impestarvi voi e i vostri figli” è il tam tam che gira sulle chat delle mamme.

Ed eccoci al giorno del famigerato T10, tampone del decimo giorno che potrebbe restituire la libertà oppure condannare ad altri sette giorni di quarantena (minimo) in caso di positività. Ci si reca all’hub di riferimento, il mio era quello della Asl 4, e per fortuna coda ce n’è pochissima, quasi nulla. La realtà è che i genitori, per varie ragioni organizzative, non rispettano in molti casi l’accesso per ordine alfabetico indicato nello schema ma come biasimarli? Tra lavoro e impegni vari. Non si fa che parlare di Covid, di quarantene, mentre i bimbi corrono avanti e indietro come impazziti. In coda fogli alla mano, ma che fogli bisogna portare? C’era da stampare un modulo per il ritiro del referto del tampone, quello della scuola con indicato che bisognava fare il tampone, serve la tessera sanitaria. Qualcuno, me compresa, dimentica qualcosa ma gli operatori sono molto disponibili e gentili. A partire dal giovane che infila il tempone in, credo, almeno 200 narici al giorno: “Ciao, come ti chiami? Soffiati il nasino, brava, stai rilassata…” e trac, su il tampone. E via un altro. Quindici minuti di attesa ed esce l’operatrice che indica sul foglio l’esito. NEGATIVO e si apre un sorriso sotto la mascherina e negli occhi della mamma o del papà di turno che se ne va pensando “bene, si torna alla normalità”. Ma per quanto? Ogni genitore sa che la minaccia di una nuova quarantena o di una dad è dietro l’angolo, ogni giorno, perché mai c’è stata una diffusione del virus pari a ora, insomma, non la si scampa a questo giro.

Ma in tutto questo, se hai un altro figlio, come si sviluppa la faccenda? Chiusa la quarantena-autosorveglianza-dad di uno se ne apre spesso un’altra. Nel mio caso il figlio di 11 anni è finito in Dad un venerdì (la bimba lo era già da mercoledì) quando al telefono mi ha detto, felice come una Pasqua: “Ci sono due positivi!”. Ma non era ancora sufficiente per non andare a scuola perché alle medie servono tre contagiati per lasciare tutti a casa: lui è vaccinato con doppia dose quindi sarebbe dovuto andare a scuola insieme ad altri sei o sette compagni vaccinati o guariti, mentre gli altri avrebbero fatto lezione da casa. Fino all’ultimo ha sperato e infatti la sera è arrivata la conferma del terzo contagiato. Si riparte con la didattica a distanza, ma con che computer visto che lo deve usare la sorella? Ma no, la sorella fa lezione di pomeriggio e quindi va bene, ma chi aiuta lei, visto che va dalla nonna e la nonna ha 83 anni ed è già miracolosa a saper usare un po’ whatsapp, o come lo chiama lei uoltapp? Il fratello seguirà la sorella, la aiuterà “mi raccomando, tu che sei l’ometto di casa”.

Il resto è poca storia: la scuola media manda un foglio da cui si desume che il giorno decimo dall’ultimo contatto debbano andare a fare il tampone nell’hub. Tam tam tra le mamme per capire qual è il giorno dieci. I figli fanno lezione da casa, 3-4 ore al giorno. Addirittura una prof si lancia in una verifica in dad, del resto bisognerà farci l’abitudine. E mio figlio: “Mamma, copiavamo tutti dal libro accanto che non si vedeva nell’inquadratura e ci scrivevamo messaggi su whatsapp!!”. E poi scenette del tipo: “Mamma, stavo registrando col telefono un brano suonato con la pianola per la lezione di musica, lo avevo fatto benissimo ma la nonna non aveva capito ed è entrata in sala dicendo Che bravo! E allora l’ho dovuto rifare e questa volta mi sono dimenticato io di registrare!”. Insomma, storie di ordinario delirio, con cui genitori un po’ stressati si trovano a confrontarsi ogni giorno e chissà per quanto ancora! Ma basta la salute, si dice in questi casi e io ne sono più che convinta, poi il resto in qualche modo si farà.

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