Nei tanti anni da cronista sulla strada mi è capitato davvero di tutto, trovare il coltello sporco di sangue appena usato per un delitto, scovare una prova utile a condannare all'ergastolo un assassino, essere additato come piromane dai carabinieri perchè arrivavo prima di loro sui roghi d'auto, tentare di evitare un femminicidio pensando di avercela fatta per poi accorgermi invece era stato tragicamente inutile.
Mi è capitato fra l'altro anche di essere chiamato in piena notte dai pompieri per convincere una persona a desistere dalle sue intenzioni di togliersi la vita gettandosi nel vuoto da una gru.
Quella persona è Massimo Piazzini, pescatore abusivo con un'infanzia negata e una vita calpestata. Ai pompieri aveva detto: "Scendo dalla gru solo se viene Michele Varì...".
Godere di tanta fiducia da un uomo che conoscevo superficialmente per motivi di lavoro e incontravo ogni tanto nei vicoli, è stato un privilegio, ma è anche una grande responsabilità, perché quella persona quando mi chiamava era disperata e in bilico nel vuoto.
Una responsabilità che mi spaventava, mi faceva paura come quando i pompieri mi chiesero se me la sentivo di entrare nel cestello della loro autoscala a sfilo allungata sulla sopraelevata per raggiungere Max arrampicato su una gru di un cantiere della darsena, a circa 70 metri d'altezza. Non potevo dire no, e salii lassù cercando di non guardare mai in basso.
Massimo è salito su una gru di un cantiere o sul ponte monumentale nel centro di Genova per chiedere una casa, un tetto per la moglie molto malata e anche implorare di riavere la sua barca sequestrata dalla Capitaneria di Porto.
Era questo il suo modo di attirare attenzione, per dire, "esisto anche io"".
In realtà quando io, chiamato in piena notte al telefono dalla centrale operativa dei vigili del fuoco, neanche fossi stato il sindaco, arrivato sul posto gli parlai dal cestello dell'autoscala, lui non scese subito, però si tranquillizzò perché sapeva che il suo gesto non sarebbe stato ignorato, e poi con calma si decise a scendere.
Max è un pescatore abusivo con il viso sofferto e pieno di rughe che sembra uscito da un film francese o dalla penna di Simenon. Un pescatore che gettava le reti non nel mare limpido e gelato delle coste della Bretagna ma nelle acque unte del porto Antico, per pescare i grossi cavedani che si cibano dei liquami delle fogne e che lui vendeva sottobanco ai ristoranti per racimolare la giornata.
Un uomo disperato e solo. Un pescatore senza papà e senza mamma, figlio di nessuno, un figlio messo al mondo da una giovanissima prostituta che non l'ha mai riconosciuto, e che lui non ha mai conosciuto e che solo ora, negli anni in cui si inizia a fare il riepilogo della vita, Max vorrebbe incontrare.
Anche se per colpa di quella donna mai diventata mamma lui da bambino è finito in un camerone del manicomio di Cogoleto, legato e imbottito di sedativi, in mezzo ai malati psichiatrici gravi o, forse, ad altri come lui ritenuti malati anche se poi non lo erano, perché a quei tempi bastava essere strambo per essere sbattuto in un ospedale psichiatrico. E quello di Pratozanino era il più grande d'Italia, un inferno che solo la legge Basaglia è riuscito a cancellare. Una struttura ora al centro di un progetto del ministero, “Carte da legare”, che parte dal recupero della memoria, ossia delle cartelle cliniche, come quella di Piazzini.
La drammatica storia di Massimo andrà in onda stasera alle 22.30 su Primocanale, a Michè.
IL COMMENTO
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