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di Matteo Cantile

Essere un padre separato è una condizione molto difficile: lo è, per molti, sul piano economico; e lo è, paradossalmente, anche su quello socio-culturale, giacché gli uomini, nel mondo d'oggi, non godono di molti favori.

Lo premetto, anche se non servirà a placare i commenti cattivi di chi vuole vedere il male in ogni frase: se la condizione maschile è oggi guardata con un certo sospetto è anche colpa nostra, di noi uomini intendo. E ogni ragionamento che proverò a fare in queste righe non vuole certo proporre confronti tra la condizione difficile degli uomini che si separano con quella delle donne che subiscono violenze.

Ma è chiaro che tra gli effetti collaterali della contemporaneità ci sono anche molte vite maschili distrutte dalla solitudine e dalla povertà.

Avevo un amico di professione operaio specializzato: sposato con due figlie piccole, una casa comprata con il mutuo e uno stipendio decoroso. Non poteva permettersi una vita lussuosa, questo no, ma a lui e alla sua famiglia non mancava nulla. Le cose andavano bene fin quando, e sulle ragioni non posso entrare perché non le conosco, i rapporti con la moglie si sono dapprima raffreddati e poi interrotti.

La separazione avvenne in modo civile, non ci furono quelle battaglie campali, invero un po' squallide, che mettono sul piatto l'innocenza dei figli. Ma nonostante la correttezza delle firme, il risultato fu terribile. Il giudice gli impose la copertura del mutuo più una quota per il mantenimento della ex moglie e delle figlie. Quest'uomo si ritrovò con lo stipendio più che dimezzato e con ancora il bisogno di provvedere a sé stesso, a partire dalla casa. Tornò a vivere dalla mamma, a quarant'anni suonati, senza più un soldo in tasca. Ci siamo persi di vista, se sta leggendo e si riconosce in questa storia gli mando un saluto, augurandomi che nel frattempo le cose si siano sistemate.

E questo è niente, rispetto a quello che capita ad altri uomini dopo il naufragio del loro matrimoni: mogli indispettite, talvolta anche giustamente, non discuto, spesso pervase d'odio, che impediscono ai loro ex di vedere i figli. Credo che non ci sia nulla di più terribile. A questa condizione si aggiunge la vita, che necessariamente fa il suo corso: l'ex moglie si riaccompagna, il padre dei bimbi diventa un altro uomo e nessuno se ne preoccupa.

Sono certo che non sia questa l'evoluzione naturale di ogni matrimonio fallito, sicuramente molte donne conservano il rispetto dell'uomo con cui si sono accompagnate e che hanno scelto per mettere al mondo un erede: il sapore di un amore passato non può completamente stingere per colpa della delusione presente, ma resta grave che molti, troppi uomini, vivano con disperato disagio i loro guasti amorosi.

E' quindi doveroso che il tema venga posto all'attenzione pubblica affinché si percorrano parallelamente due strade: la prima è quella di un sistema giuridico che conduca a una reale tutela dei diritti dei padri verso i loro figli, sia nella frequentazione che nell'educazione e nelle scelte più importanti. La seconda strada è quella culturale: la dimensione del ruolo di padre nel terzo millennio va necessariamente rivista.

Non siamo più i signori Banks di Mary Poppins, non ci limitiamo a dare una pacca ai nostri figli prima che la tata li porti a dormire: l'uomo è oggi, e non da stamattina, parte integrante della vita dei suoi bimbi, partecipa attivamente alla loro crescita e soffre dannatamente la loro lontananza. E' giusto che la società contemporanea, prima ancora del legislatore, lo riconosca.

Lasciare gli uomini in balia dei sentimenti delle loro ex mogli è una barbarie: nel mondo in cui quasi un matrimonio su due è destinato a fallire la condizione dei padri separati è un'urgenza non più procrastinabile.