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Il tema dei migranti è un tema che sempre mi è stato a cuore. Un tema di cui è impregnata la storia della nostra civiltà occidentale, e della nostra stessa città di Genova. Una realtà vissuta che fa parte di noi: quanti nostri antenati sono migrati in terre lontane per poi tornare e creare una nuova realtà famigliare ed imprenditoriale.

Assistiamo ora a famiglie, uomini, donne con bambini in braccio, donne incinte, che dopo aver subìto torture e violenze di ogni genere, decidono di scappare da una terra invivibile. A cercare una terra sicura, primaa ancora che un futuro da sognare. E per questo salgono su barchini che promettono solo di partire e mai di arrivare sicuramente a destinazione. E nonostante questo, partono lo stesso.

I missionari partono e non portano in Italia le persone assistite. Stanno con loro per aiutarle a costruire un mondo vivibile, una quotidianità umana, una terra che rimanga anche culla di culture lontane e che sono proprio peculiari anche nel legame con il loro territorio. Quasi che sia la loro stessa terra la madre che genera questi figli con le loro abitudini e con quelle ricchezze stupende che caratterizzano i colori diversi dell’umanità.

Pensare che famiglie intere siano spezzate dalla violenza, costrette ad emigrare verso una terra non loro, in una dispersione culturale che spesso viene confusa con quella che viene detta convivenza, fa male dentro culturalmente parlando. E umanamente, ancora di più.

Se a questo si aggiunge che nella disperazione, approdano a una terra che viene percepita ostile, che ti tratta come nemico da allontanare o come pericolo da evitare, ci accorgiamo che aggiungiamo violenza a violenza, con un cuore che non riesce ad esprimere quell’umanità e quell’accoglienza tipiche invece della nostra cultura europea.

Ho spesso desiderato partire per andare ad assistere a Lampedusa queste persone che, disperate, toccano terra e chiedono acqua, salute, sicurezza, e una mano di aiuto. E non è detto che un giorno o l’altro, la Vita mi porti là dove spesso desidero andare.

Pochi giorni fa ho letto questo articolo di Tiziana Oberti, mi ha colpito, e per questo ho voluto proporlo alla mia comunità parrocchiale, durante l’omelia di domenica 9 giugno. Un’immagine che colpisce. Parole profonde che fanno riflettere. Uno di quegli articoli drammaticamente attuali, che descrivono situazioni che continuamente ci troviamo a vivere.

Il contrasto tra le due navi e il fatto che questo sia accaduto nel nostro porto di Genova, un porto sinonimo di passaggio, di scambio, di incontro, mi ha fatto riflettere e mi ha colpito in modo particolare. Come se quella piccola striscia d’acqua che separava le due navi fosse diventata immensa come un oceano, a richiamarci ad un umanità fatta di ponti e non di isole.

Grazie Tiziana per aver saputo cogliere quest’immagine e a trasformarla non solo in notizia, ma in riflessione condivisa.

*Don Valentino Porcile, Parroco San Siro Genova Nervi