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Dunque la “France Insoumise” di Mélanchon trionfa e blocca l’annunciato (troppo) trionfo della Destrissima. E’ il Fronte Popolare della sinistra, socialisti, Verdi e persino comunisti. E subito si affrontano faticosissimi parallelismi italiani. Per non dire, poi, dei parallelismi locali, cioè calati nella situazione del nostro piccolo e spesso insignificante, territorio, la Liguria. Avete mai notato come nelle previsioni delle tv nazionali la temperature di Genova non ci siano mai?

Dunque esiste, forse, una “Liguria Insoumise”, che vuol dire “Indomita”, “non assoggettata né assoggettabile”, addirittura per certi versi “ribelle”? Ma fatemi il piacere… Il guaio ormai decennale della nostra sinistra è che non è assolutamente “Indomita” e lo si vede dai temi che, almeno fino a oggi, ha propugnato nelle campagne elettorali.

Penso solo alla situazione ligure e genovese, oggi, che, di colpo, si trova davanti a una vicinissima campagna elettorale per le regionali, dopo lo scandalo corruzione e le dimissioni di Toti. Tutte le volte che si accennava alla necessità della rapida individuazione di un candidato, ebbene, la risposta del Pd era: prima i programmi. Poi? Nulla o quasi sulla questione del candidato.

Spesso il Pd, si è preoccupato di altre questioni, diventando in talune situazioni piuttosto “assoggettato” (pensiamo solo alle vicende portuali), ma soprattutto abbandonando quelli che, storicamente, sono stati i temi naturali e forti della sinistra. Non arrivo fino a Togliatti o al modernissimo e impareggiabile Umberto Terracini, genovese doc ricordato ieri a Cartosio, ma almeno a Berlinguer sì. Direte: allora c’era la lotta di classe. Certo e che cosa avrebbe dovuto fare, allora, la classe operaia per esercitare le proprie ragioni o almeno tentare di farlo? Per conquistare qualche minimo diritto? Non era, forse, anche per questo che Togliatti lanciava in tante occasioni anche parlamentari i suoi inviti alla collaborazione stretta con la “classe operaia cattolica”, seppure in grandissimo ritardo?

Ora emerge una sinistra che, forse, ha finalmente capito che ci vuole uno scossone anche un po’ ribelle. Magari rileggendo proprio la incredibile lezione di Terracini, 6183 giorni di detenzione fascista, senza pause, dal 1926 al 1943, espulso addirittura dal Pci con Camilla Ravera perché era troppo ribelle. Riammesso per volontà di Togliatti nel 1945, poi alla guida niente di meno che dell’Assemblea costituente. Indomito, “insoumis” lui sì per davvero.

Quindi, ecco l’annuncio della scrittura di un programma anche locale, ligure e genovese, fondato sulla rivoluzione della sanità, oggi sfiancata (lo ripeto: azione di demolizione cominciata nazionalmente dai governi di Berlusconi e seguita dai successori compresi quelli di centrosinistra per non dire dei “tecnici”. ). Una sanità che di pubblico e di universale ha ormai ben poco. Pochi medici e infermieri che devono fare sempre gli eroi, sia sotto la catastrofe del Covid, peraltro affrontata seriamente dal governo Conte-Speranza, ma anche localmente con un egregio sistema di presìdi per le vaccinazioni, strutture vecchie e che annaspano, ma soprattutto due temi essenziali: le cure che devono essere assicurate a tutti, le liste di attesa che devono essere drasticamente ridotte. E’ incredibile che per un esame importante si debbano attendere mesi, in fila in liste d’attesa che si affidano soltanto al buon cuore della Madonna della Guardia. In una regione molto anziana e quindi piena di problemi e di spese aggiuntive: la spesa pro-capite seppure di fronte a un calo sensibile della popolazione è la più alta d’Italia.

Infine la necessità che le belle parole declamate durante la pandemia, quando tutti avremmo dovuto diventare buoni e buonissimi, cioè i piani della sanità sotto casa, nei quartieri, “di prossimità” con case della salute e medici disponibili a turno anche nei week end, diventino realtà.

Sanità territoriale che esisteva quando esistevano i vecchi ospedali sparsi in città, poi cancellati per risparmiare , anzi, per evitare gli sprechi e che ormai è una chimera. Col risultato che qualunque malessere in particolare nei week end finisce per ingolfare i pronto soccorso del San Martino e del Galliera, limitandoci al caso genovese. L’ex ministro Speranza lo ha spiegato molto chiaramente. “Se non si stanziano risorse – ha detto - non si fanno passi avanti. Il rilancio del nostro servizio sanitario può avvenire solo aumentando i finanziamenti “.

Bene, dunque, che il Pd ligure scelga come bandiera del suo programma per le regionali anticipate proprio la rivoluzione di questa sanità in agonia e la ricostruzione di una sanità sociale. Ma, come sottolinea Pippo Rossetti ex Pd oggi calendiano, bisogna passare dalle enunciazioni ai fatti. Fino a oggi ho sentito solo un rosario monotono di enunciazioni e attendo di leggere questo codice sanitario delle opposizioni.

Infine, tornando alla politica, ha ragione Luigi Leone quando ribadisce che si vince dove c’è un leader con nome e cognome. In Emilia lo hanno fatto, scegliendo per la corsa del dopo-Bonaccini il giovane (39 anni) sindaco di Ravenna.

Non avremo un Mélanchon locale che forse è anche meglio per una questione anagrafica, ma almeno una ricerca di nomi possibili, anche fuori dai confini stretti di partito, avrebbe dovuto svolgersi entro il 2023. O forse esiste ma noi non la conosciamo? I nuovi dirigenti del Pd hanno perso tempo e ora ecco la sorpresa inattesa fino a qualche mese fa del voto anticipato col povero Andrea Orlando, ex ministro della Giustizia, a doversi sacrificare, in assenza di figure locali preparate all’occasione.
Dunque se c’è ancora una “Liguria Indomita” faccia sapere subito agli elettori chi guiderà la grande riscossa per una nuova sanità pubblica che ritrovi la straordinaria carta dell’universalità che è stata la bandiera della storica riforma italiana che, allora, l’Europa ci invidiava. E con questa la sfida al centrodestra.
Anche senza un Mélanchon locale. Forse è meglio qualcosa di più fresco.