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di Matteo Cantile

Gli avversari politici l'hanno chiamata la doppia morale del Partito Democratico, i suoi compagni di partito e gli alleati sono insorti: David Ermini, uno degli esponenti di punta della sinistra in Italia, è finito nell'occhio del ciclone per avere accettato un incarico apicale nella holding del gruppo Spinelli. E, alla fine, la notizia è delle scorse ore, è stato costretto a dimettersi dalla direzione Dem.

E' difficile comprendere come mai nel campo largo (o larghissimo) si siano scandalizzati tanto per questa scelta.

Partiamo da un presupposto: Aldo Spinelli ha avuto rapporti strettissimi con il Partito Democratico. Nel passato le sue società non hanno certamente mai negato elargizioni a quello che per decenni è stato il punto di riferimento della politica in Liguria e personalmente si è spesso pubblicamente esposto a sostegno dei suoi candidati. Senza andare troppo indietro nel tempo, la nostra memoria è sufficiente per ricordare con quanta passione, nel 2015, aveva sostenuto Raffaella Paita nella sua corsa contro Giovanni Toti (usando chiamare la senatrice spezzina, simpaticamente, Paìta, con l'accento sulla i...).

Un appoggio tanto evidente che alla prima cena dei totiani a Villa Lo Zerbino, ormai molti anni fa, la presenza di Sciò Aldo era sembrata così strana da avere bisogno di una giustificazione: “Io sono un imprenditore e sto sempre con chi governa”, aveva dichiarato col suo celebre sorriso il terminalista alla piccola folla di giornalisti che, allora come in tempi più recenti, si era radunata per raccontare l'evento.

E' quindi indiscutibile che Spinelli abbia sempre intessuto relazioni strette con il Pd ligure ed è altrettanto evidente che con buona parte della sua nomenclatura abbia avuto rapporti personali. Verosimilmente anche con lo stesso David Ermini, che il 31 luglio 2015, un mese e mezzo dopo la proclamazione di Toti come nuovo presidente delle Liguria, veniva nominato commissario del Pd nella nostra regione (ruolo che avrebbe mantenuto fino al marzo di due anni dopo).

E' così strano che in un momento di grave crisi aziendale la famiglia Spinelli si affidi a un professionista di lungo corso, con incarichi di grande prestigio nel curriculum, conosciuto e apprezzato da questo gruppo imprenditoriale?

Vi è poi un secondo aspetto che, nella logica di un partito che si ispira al socialismo democratico, appare ancora più stridente con la levata di scudi di questi giorni: ai circa 650 dipendenti del gruppo, alle aziende del suo indotto, ai risvolti sociali di una crisi che può essere fatale, il Pd non pensa? Allo scopo di cavalcare politicamente una vicenda giudiziaria si può arrivare al punto da sperare nella deflagrazione di una grossa azienda genovese?

E ancora: nella logica di ricostruire l'immagine del gruppo Spinelli che il processo mediatico che è andato in scena in questi mesi ha sensibilmente compromesso, non è positivo che un tuo uomo si impegni in prima persona?

Forse è il caldo di questi giorni roventi, forse è la consapevolezza che l'assist politico fornito dall'inchiesta è quasi troppo bello per essere vero, però il Partito Democratico appare in questa vicenda piuttosto confuso.