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di Giampiero Cama*

Tra poche settimane si svolgerà nella nostra regione una importante tornata elettorale. Come sempre i fattori che la influenzeranno saranno in parte legati ai problemi e ai bisogni specificatamente locali e in parte risentiranno invece di tendenze più generali e di scala più ampia. Queste ultime si riverberano infatti a cascata dai centri alle periferie delle nostre società e dei nostri territori. Le ricadute, ad esempio, della globalizzazione economica, delle migrazioni, delle incessanti innovazioni tecnologiche hanno riflessi sia a livello macro che micro condizionando in modo significato i processi e le strutture politiche. Ovviamente anche la Liguria non sfugge a questo destino e le sue vicende recenti tendono a mostrarlo.

Una di queste manifestazioni generali che stanno caratterizzando le democrazie occidentali è rappresentata dalla trasformazione progressiva dei partiti e l’indebolimento della loro connessione con i diversi segmenti del corpo sociale. Parallelamente a questo fenomeno abbiamo assistito al crescente fenomeno della personalizzazione dei partiti e delle organizzazioni politiche. La personalizzazione ha percorso essenzialmente due vie. Da un lato, come avvenuto recentemente nel caso del Partito Repubblicano negli Stati Uniti, tramite l’emergere di outsider che hanno “scalato” e conquistato i vertici di partiti tradizionali, spesso svuotandoli e cambiandone profondamente i connotati; dall’altro, e più spesso, facendo sorgere di propria iniziativa nuovi partiti, o movimenti, dal nulla. Quali le conseguenze di questo trend?

Per comprenderle va innanzitutto segnalata una importante distinzione tra leadership e personalizzazione. La prima non rappresenta un elemento ostativo alla forza e al radicamento dei partiti, anzi li rende più attrattivi verso ampi settori della pubblica opinione. Figure, per restare al nostro paese, come Alcide De Gasperi, Palmiro Togliatti o Pietro Nenni – o Roosevelt, Churchill, Kennedy, Thatcher e Reagan per citare esperienze di altri paese - erano l’espressione di un gruppo dirigente cui dovevano rendere conto e la loro azione si svolgeva nell’ambito di una sostanziale collegialità. La leadership più autentica, in altre parole, costituisce semplicemente un valore aggiunto per i partiti, la cui continuità non dipende integralmente dal destino e dalle vicende dei capi che si volta in volta si avvicendano. Il destino dei partiti personali invece tende a coincidere con le fortune o le disgrazie di chi li presiede. La mancanza di collegialità che li contraddistingue produce inoltre le conseguenze appena menzionate.

In primo luogo, i partiti personali hanno un “orizzonte temporale” più corto dei partiti maggiormente strutturati e radicati. Questi ultimi hanno interesse a effettuare scelte che non pregiudichino il consenso a lungo termine degli elettori e non sono esclusivamente legati ai successi immediati e istantanei di chi li guida.

Secondariamente, la personalizzazione favorisce decisione più estemporanee e meno ponderate. Un leader che non deve tenere in gran conto le opinioni e i pareri di un gruppo dirigente – e che anzi spesso matura una propensione a chiudersi all’interno di cerchie ristrette e autoreferenziali composte da fedelissimi- ha meno argini per evitare scelte impulsive e legate all’emotività del momento. Una direzione collegiale, viceversa, favorisce la discussione interna e alimenta un proficuo confronto tra opzioni diverse e una dialettica fatta di argomentazioni e contro argomentazioni legate a visioni ampie e diversificate, tutti elementi che favoriscono la conoscenza approfondita dei problemi e una maggiore affidabilità delle soluzioni.

In terzo luogo, nell’ambito di questo tipo di organizzazioni tende a istaurarsi un legame diretto, favorito ed enfatizzato ovviamente dai nuovi mezzi di comunicazione, tra politici ed elettori, senza alcuna mediazione dei corpi intermedi. Ne deriva la predisposizione a privilegiare relazioni altamente emotive e scarsamente razionali, un viatico inevitabile per scorciatoie demagogiche. Questo fattore, inoltre, contrariamente alle apparenze, indebolisce la capacità di monitoraggio della società e dei sui bisogni più profondi. Solo organismi strutturati e articolati sul territorio, infatti, sono in grado di captare in modo sensibile le necessità e le sempre più variegate e vorticose trasformazioni del nostro mondo. Nessuna persona e intelligenza singola è in grado di svolgere adeguatamente e per lungo tempo tale compito.

Non stupisce quindi che molti partiti contemporanei vengano meno o svolgano con capacità ridotta alcune delle loro funzioni fondamentali: formulare una adeguata offerta politica, che orienti gli elettori e dia un ordine alla discussione pubblica fornendo chiare e coerenti opzioni di scelta; selezionare e formare una classe politica preparate e all’altezza del proprio mandato ; motivare mobilitare i cittadini alla partecipazione politica; costituire infine un efficace canale di mediazione, dall’alto verso i basso e viceversa, tra istituzioni di politiche e società.

Chi ha a cuore le sorti e la qualità delle liberaldemocrazie dovrebbe auspicare, e magari sollecitare, una inversione di tendenza di questo processo.

*Professore dell'Università di Genova Dipartimento di Scienze Politiche e Internazionali